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I troppi poteri di Tremonti sono un limite

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti

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Caro Direttore, l'on. Antonio Martino, nella lettera al Presidente della Repubblica pubblicata dal suo giornale, ha posto con acutezza il problema dello spacchettamento del superministero dell'Economia, invitando a una riflessione quanto mai attuale e a un dibattito che, a mio avviso, dovrebbe seriamente impegnare sia la maggioranza che l'opposizione. Il decreto legislativo n. 300 del 1999, meglio conosciuto come riforma Bassanini è un esempio di come a distanza di 12 anni quello che fu considerato un utile accorpamento di più ministeri, nell'attuale congiuntura economica, ha prodotto guasti sul piano politico, della gestione delle risorse pubbliche e infine sul terreno istituzionale. Bassanini con un colpo di spugna, accentrò nella persona di uno stesso ministro i poteri dei titolari dei dicasteri del Tesoro, delle Finanze, del Bilancio, delle Partecipazioni Statali e del Mezzogiorno, dando vita a una specie di ircocervo istituzionale, il cosiddetto superministro dell'Economia, la cui attività ha negli anni prodotto una conseguenza non trascurabile: la trasformazione del consiglio dei ministri da organo collegiale a organo monocratico. In Italia, da non poco tempo, l'importante funzione di gestione del bilancio e delle politiche di contenimento del deficit e della spesa pubblica, ha finito con il prevalere su ogni altra linea di indirizzo politico, assumendo il valore di unica ed esclusiva funzione del governo, prevalente su ogni altra indicazione programmatica. È questa la conseguenza più rimarchevole e pesante della legge Bassanini, perché ha alterato l'equilibrio fra il Governo e i suoi singoli componenti, modificando di fatto le funzioni che la Costituzione affida al Presidente del Consiglio, al quale è riconosciuta la direzione della politica generale dell'esecutivo, nonché il compito di coordinare l'attività dei ministri. Chi tiene i cordoni della borsa, non può prevalere in buona sostanza su chi deve garantire l'attuazione delle scelte politiche concordate con gli elettori, se non trasformando di fatto il premier e gli altri ministri in semplici comparse. Illuminante, a tal proposito, è come il sito del ministero dell'Economia e Finanze illustra la propria missione al cittadino che ne voglia sapere di più: "Sono attribuite al Ministero le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di politica economica, finanziaria e di bilancio, programmazione degli investimenti pubblici, coordinamento della spesa pubblica e verifica dei suoi andamenti, politiche fiscali e sistema tributario, demanio e patrimonio statale, catasto e dogane, programmazione, coordinamento e verifica degli interventi di sviluppo economico, territoriale, settoriale e politiche di coesione". Praticamente, tutto. La leva fiscale, fondamentale in ogni politica di sviluppo, non dovrebbe vedere sacrificata la sua potenzialità alla tenuta dei conti pubblici di cui è custode il superministro dell'Economia, perché è inevitabile che lo stesso guardi più ai costi di una riforma del fisco che ai suoi vantaggi strategici sull'economia, sulla produzione, sull'occupazione. Le politiche strutturali, quelle di settore e gli investimenti hanno un costo, ma gli obiettivi vanno selezionati guardando alle priorità politiche di un governo, rappresentate e condotte a unità dal suo leader. Negli ultimi dieci anni queste priorità sono state relegate in seconda linea. Credo, quindi, che l'appello di Martino debba essere accolto, senza ipocrisie, affrontando con urgenza il problema dello spacchettamento del super-ministero dell'Economia, perché i poteri di più ministeri concentrati in una sola persona sono ormai incompatibili con il corretto funzionamento delle nostre istituzioni. Insomma, la separazione fra i ministri della spesa e dell'entrata è ormai ineludibile ed è giusto, come sottolinea Martino, che i ministeri dello Sviluppo Economico e dell'Industria recuperino ruolo e poteri, insieme a quello delle Attività Produttive. L'appello di Martino, inoltre, proprio in quanto rivolto al Capo dello Stato, riconosce al rappresentante dell'unità nazionale un ruolo di superiore patronato e di indirizzo discreto rivolto alla classe politica per lo sviluppo di un dibattito quanto mai urgente per il futuro del nostro Paese. È da sperare che la politica sappia cogliere l'occasione, mettendo da parte contrapposizioni che da troppo tempo impediscono il libero confronto fra chi governa e chi fa opposizione.

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