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Berlusconiani con orgoglio

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Questa volta Marx non ha ragione. La tragedia non si replica come farsa. Stavolta i biglietti dello spettacolo  vengono venduti ai bagarini più pericolosi. Un business strano e inquietante. Un singolare caso da studiare. Una miscela esplosiva di carte, cartuscelle e messaggi nella bottiglia, il tutto esibito nelle piazze, che, a questo punto, non sono più neanche lontanamente agorà, ma si trasformano in luoghi eversivi. No, non eversivi nel senso consueto; non si tratta di codici del terrore o del terrorismo di un tempo (neanche troppo lontano) che fu. Siamo su un altro piano. L'eversione è sostanziata da un duplice livello che, sia lecito insistere su parole retrò, dobbiamo definire ontologico e, insieme, antropologico. Sì, perché noi stiamo parlando - non vi è chi non se ne avveda - di materia incandescente: Berlusconi. Ma, accanto e dentro il corpo berlusconiano, così variamente tematizzato soprattutto da sociologi e politologi di sinistra, vi è quell'araba fenice insolitamente attribuita ad un «ismo», non meglio definito: «berlusconismo». Quando si tocca l'«ismo», dobbiamo stare bene attenti a non attraversare l'istmo fatidico che conduce al nulla semantico e culturale. Ma tant'è, prendiamo atto del lessico che ha costruito realtà e procediamo in un percorso analitico retrò. Cercheremo addirittura di sfidare il lettore - ne abbiamo venticinque e non di più, qui si trema, dunque… - e farci un tantino palloccolosi, pur di stanare l'ombra che sordidamente sta attanagliando il Belpaese. Allora, dicevamo: l'ontologia e l'antropologia. Ciò vuol dire che la guerra, nel senso meno clausewitziano del termine, a Berlusconi, viene condotta sul piano della natura e dell'essere creatura umana di coloro che lo hanno sostenuto. In soldoni: l'homo berlusconianus è un bandito che dovrebbe vergognarsi perfino di esistere. Va ben al di là dell'essere-nel-mondo di Heidegger: deve morire, dunque tacere finché campa. Ma chi tratta così dei cittadini, degni della cittadinanza, così tanto sbandierata sulle pagine brillanti e attraenti della rivista «Micromega» degli anni '80 del secolo scorso, il luogo principe della mia formazione di socialista craxiano? Chi invoca il silenzio originario, non degli innocenti, ma dei malfattori, nei confronti di decine di milioni di elettori, che pagano le tasse (fino a prova contraria), lavorano, producono, amano le moglie e i figli, vanno al cinema, leggono libri (eh sì, può capitare anche questo al fetido homo berlusconianus), etc.? Chi è costui? Sbagliato: chi sono costoro, dovremmo domandarci. Perché trattasi di truppe cammellate assai bene e con vasta anima di conquista, su questo non ci piove. Dati, vogliamo dati; fatti, vogliamo fatti, si dirà… bene, accontentati subito. Leggiamo, così, di passata, la bibbia dell'informazione illustre e di marca internazionale, appunto «Internazionale», settimanale fulgido che acquistiamo e di cui assorbiamo le sfaccettature intriganti; bene, cosa leggiamo? Un eccellente copia-incolla dell'ultimo numero di «The Economist», che intitola con aplomb anglosassone di scuola: «The man who screwed an entire country». Tradotto per noi profani (ci pensa «Internazionale»): «L'uomo che ha fottuto un intero paese». Una replica di molti numeri fa e forse di qualche edizione fa, perché il giornale diretto da Bill Emmott ha fatto i soldi con Berlusconi, con vendite internazionali da capogiro, inchiesta giacobina dopo inchiesta giacobina. Ah, ecco, ci sono cascato anch'io, dannazione: giacobini! No, non è questo il punto, ma ci tornerò subito. Intanto: le truppe cammellate di così elevato lignaggio stangano l'Italia tout court e l'homo berlusconianus per la sua natura e perché è un «uomo» (virgolette necessarie) che ha messo la sacra crocetta sull'Innominabile: anathema sit! Ontologia: sei per natura un bandito fuori dal cerchio dell'humanitas. Antropologia: non sei neanche un uomo. Ergo: su di te possono abbattersi le forze cosmiche e della natura, bene così, perché meriti questo e altro. Non è più il giacobinismo feroce stigmatizzato da Hanna Arendt o da Jacob Talmon (visto che anche noi leggiamo, compagni?), no, è l'Assalto Finale, Armagheddon ultima versione, diciamo 3.0, in formula: la Soluzione Finale. C'è finanche di mezzo la matassa ingarbugliata assai dei sensi di colpa, perché il Belpaese ha nutrito una folla di fascisti dediti alla mistica fascista, per poi trovare le piazze vuote, inferocite ad hoc soltanto quando si doveva far penzolare il corpaccione della Bestia-Mussolini e della sua compagna di sventura Claretta Petacci: do you remember Piazzale Loreto, Milano, 28 aprile 1945? Ecco, la storia è quella là. L'odio non è meramente, strettamente e tecnicamente politico, non lo è mai stato; è un odio teologico, che, poi, come Marx insegna, deve attrezzarsi sul piano filosofico, ed è costretto a cambiare passo, facendosi persecuzione antropologica e sprezzo ontologico. Così è, se vi pare. Non è neanche rottura di uno schema politico, casomai è il divorzio tra l'etica della responsabilità e l'etica della convinzione, di weberiana memoria. Forse è la stortura della ragione «angelicata» delle «anime belle», che sottolineano con il grassetto la somma verità pascaliana: «Chi fa l'angelo, fa la bestia». L'angelo, qui, recita a soggetto e spalanca le meningi ad altro dalla convenienza morale, antropologica, etica e politica. Facendosi persecuzione sommaria e continua, martellante, titillante come pulsioni erotiche non contenute, l'angelicità di questa violenza contro l'uomo, nella fattispecie l'homo berlusconianus, distrugge la politica e perfino il Politico come tale, quella dimensione tecnica che prescrive limiti e confini della dialettica, della battaglia e della guerra, in ultima istanza definita «politica». Ma le forze in campo c'erano tutte: il giornale di Emmott, le riviste non più riformiste, i giornali di una sinistra vincente da un'altra parte - come Flores d'Arcais ha sottolineato in un efficace editoriale su «Micromega» -, i teatranti vari circolanti nella zona grigia italiota che, oggi, raccatta i resti del berlusconismo e, domani, si siede alla tavola del vincitore (?), sperando prebende di altra natura. È un fuoco concentrico, che non si aggrappa soltanto alle procure, scegliendo malfattori del Pdl, francamente non simpatici al popolo berlusconiano (ah già, ma questi hanno la croce gialla stampigliata addosso…), ma va ben oltre, e scopre Etienne del Boétie, la «servitù volontaria» (Gustavo Zagrebelsky). La «servitù volontaria» è cosa che riguarda chi? Il «conformista», non quello di Moravia, ma quello dell'illustre Zagrebelsky, illuminato studioso dell'«antropologia del conformista che fugge dalla libertà». Ovvio. Una tautologia che non dovremmo neanche citare: l'homo berlusconianus è un servo «volontario»; non conosce la libertà; ergo: non è un uomo. Funziona, no? Sembra quasi vero. Peccato che, tra questo sillogismo titillante (sempre l'eros carico di furore in ballo…), e la realtà, ci sia un po' di storia in mezzo. Tipo qualche centinaia di migliaia di fascisti di sinistra, si diceva giustamente, passati al comunismo, armi e bagagli, con tanto di nobile esergo togliattiano: «fratelli in camicia nera». Oppure l'ignominia delle vendette contro gli stessi compagni di partito, sempre sulla scorta dell'inferiorità «antropologica», e via dicendo. Un Paese che non si è mai vergognato di essere fascista e, anzi, ha arruolato i nipotini di Salò a «nobili» cause, rigorosamente antiberlusconiane, oggi sputa su milioni di italiani, non rendendosi conto che la politica non sopporta troppo a lungo destrutturazioni di questa natura. Avevano tutti detto, sotto le macerie del Muro di Berlino: sono crollate anche le Grandi Narrazioni. Ecco, con il furore teologico contro il cittadino che si sposta dalla «normalizzazione», sono crollate anche le semplici narrazioni. Dalla tragedia 1.0 alla tragedia 3.0.

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