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Il Sesto potere archivia la tv

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È il sesto potere, bellezze, e voi - stampa & televisione - non potete farci nulla. Il 13 giugno 2011 resterà una data importante della storia italiana: si avete letto bene, della storia, non della cronaca. Nel giorno in cui - dopo quindici anni di latitanza - i referendum sono tornati a raggiungere il quorum, ha fatto irruzione da protagonista sulla scena pubblica, politica e culturale nazionale il Sesto Potere: internet, la rete, i social network. Non sono certo nati ieri ma da ieri hanno sancito il loro peso sull'agenda politica, la loro incidenza sulla realtà, la loro capacità di mobilitazione in un Paese come il nostro, così pigro verso la tecnica e le novità, così refrattario alla alfabetizzazione digitale. Dei referendum, in queste settimane, sul media nazionalpopolare per eccellenza, nostra signora televisione, si era parlato poco. C'era stata la coppia Santoro & Celentano ad Annozero, Sky, La7 ma insomma, la tv non si era sperticata poi tanto. Anzi. La rete, invece, beh internet ha mobilitato, con il tamtam, con i passaparola, con la circolazione delle informazioni, con i video e i social network, Facebook, Twitter e i suoi fratelli. Analizzando in parallelo il ruolo della televisione e dei nuovi media nei giorni di campagna referendaria una cosa salta agli occhi: la tv non sta più al passo con la realtà, è vecchia nella sua narrazione. E non dipende dal mezzo, ma dai palinsesti che si mandano in onda. Mentre sulle pagine di Facebook persone comuni, donne, uomini, cittadini, animavano la loro partecipazione con passione e commenti sui quesiti dei referendum, in tv andava in scena il reality nelle sue varie forme. E per reality non intendiamo il format dei Grande Fratello o dell'Isola dei famosi bensì una sorta di realtà parallela, con i suoi personaggi, i suoi premi, i suoi quiz. Un'autarchia via etere. E' come se da alcuni anni a questa parte la televisione italiana non sapesse più interpretare ed anticipare quello che si muove nella società, esigenze e desideri, passioni e paure, risultando incapace di rischiare e di rinnovarsi. La televisione commerciale, negli anni Ottanta, per fare un esempio, si trovò ad interpretare il desiderio di libertà, di consumo, di edonismo degli italiani. Ed ebbe un successo enorme. La tv di oggi, salvo qualche programma, suona invece autoreferenziale, in calo di ascolti sui canali generalisti, ripetitiva. Per questo l'audience attiva di internet, della rete, finisce con il superarla e addio Quinto Potere. Grande sconfitta, in questa rivoluzione mediatica, è pure la politica, troppo attenta alle nomine ed a cosa dire nella commissioni di Vigilanza sulla Rai e mai al passo con i tempi. Una politica del secolo scorso, che pare ripetere a se stessa la frase di Citizen Kane in Quarto Potere: «Lei si preoccupa di quello che pensa la gente? Su questo argomento posso illuminarla, io sono un'autorità su come far pensare la gente. Ci sono i giornali per esempio, sono proprietario di molti giornali da New York a San Francisco». Il risultato del voto di ieri ci dice, al contrario, che la gente è già altrove, sul net, nelle discussioni, nella mobilitazione, indipendentemente da ciò che indicano la televisione e la politica. Sarà per questo che i pochi programmi tv che riescono a percepire pezzi di realtà, istanze di categorie e di persone, volontà di cambiamento, stanno vivendo una stagione felice di audience e di successi. Un tempo, tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta, furono la piazza e la gente in tv la cartina di tornasole che qualcosa stava cambiando. Oggi la piazza si è spostata in rete perché, come ha detto Andy Grove (fondatore della Intel Corporation), «il mondo si muove al tempo di internet». Persino in Italia.

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