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Berlusconi tenda la mano a Montezemolo

Luca Cordero di Montezemolo

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Immaginiamo di proiettare i dati delle amministrative sul quadro politico nazionale da qui ai prossimi due anni, e sul destino economico che questa classe dirigente intende dare all'Italia. Che cosa ne esce? Come scrive Mario Sechi, una maggioranza di governo che ha l'assoluta necessità di allargarsi ad altre forze, visto che se l'asse Pdl-Lega scricchiola a Milano figuriamoci nel resto del Paese; e dall'altra parte un Pd sul quale grava un pesantissimo takeover della sinistra radicale. Che siano i De Magistris (cioè il nuovo Di Pietro) a Napoli, i grillini a Bologna o Giuliano Pisapia a Milano, il discorso non cambia. Ovviamente tutto è legittimo per cantare vittoria, tanto più se si confermerà il colpo inflitto al Cavaliere a Milano. Ma quale alternativa di governo e di programma si propone rispetto ad un centrodestra pur acciaccato? Che cosa in fatto di tasse, di spesa pubblica, di infrastrutture, di rapporti con le altre economie, dall'Europa alle nuove potenze mondiali? Per dirne una sull'energia, visto che pure Obama ha dato il via alle nuove trivellazioni di petrolio in Alaska e nel Golfo del Massico? Il paradigma di questa situazione è proprio Giuliano Pisapia. Onore al merito, ma Milano ha ben altra tradizione di sinistra. Da Filippo Turati in giù, la sinistra milanese ha sempre preso a modello il fordismo americano ed il laburismo inglese, piuttosto che quella gauche borghese-libertaria che in Europa vede peraltro illustri esempi di sindaci di metropoli: Ken Livingstone a Londra, “Ken il rosso”, il più fiero avversario di Tony Blair. O Bertrand Delanoe a Parigi, che governa con il sostegno dei comunisti e dell'ala sinistra dei verdi, essendo la politica francese perfino più complicata di quella italiana. È questo ciò di cui l'opposizione ha bisogno per divenire forza di governo o non si tratta invece di un film giù visto nell'ultimo governo Prodi? Quanto al centrodestra, lo abbiamo già detto. La radicalizzazione uguale e contraria non ha pagato. Il carisma berlusconiano non è bastato a Milano, mentre a Napoli e nel Meridione rischia di alimentare un populismo di cui non si sente proprio il bisogno, e non ha molto a che vedere con un cambio di abitudini senza le quali il Sud continuerà a perdere colpi. Come ha giustamente spiegato Giulio Tremonti, è nel Mezzogiorno che si accumulano i problemi che impediscono all'Italia di crescere, e questi problemi non si risolvono promettendo di non demolire le case abusive. C'è bisogno di una svolta, e questa svolta non può venire dalla sinistra in stile Pisapia, né da un centrodestra che continua a pendolare tra Berlusconi e Umberto Bossi. Con questi risultati e con i nuovi protagonisti che ne escono premiati, l'Italia accumulerà altri ritardi in anni decisivi sul piano economico, sociale, della redistribuzione delle risorse. Da questo punto di vista, il terzo polo è finora l'altro grande non pervenuto. È inutile girarla: quel sei o sette per cento può servire da moneta di scambio nei ballottaggi, ma guardando al governo del Paese non si va da nessuna parte. Se poi si pensa che all'interno del terzo polo i finiani oscillano tra fasciocomunismo e nostalgie moderate, ancora peggio. La realtà è che il terzo polo ha un solo leader di livello nazionale, ed è Casini. Gli manca però una presa più ampia sul mondo produttivo, sindacale, sociale che forse non si fida delle sue matrici democristiane; e gli manca un progetto per il futuro. Se il leader dell'Udc può dire di avere azzeccato la tattica, non schierandosi con Prodi e Bersani, e tenendosi alla larga dalle baruffe tra Bossi e Berlusconi, non altrettanto è per la strategia. Che modello di Paese propone per uscire dalle secche? Che tipo di messaggio oltre al day by day? Forse la risposta può fornirgliela, e può fornircela, Luca di Montezemolo. Da tempo promette una discesa in campo che però ancora non si concretizza, e soprattutto non si sa in quale campo avverrebbe, né con quali programmi. Chi lo conosce davvero non lo vede come “papa straniero” di una sinistra ostaggio di Rifondazione, grillini e dipietristi. Impresa altrettanto ardua è rilanciare di sana pianta il terzo polo, con più capi che voti, mentre su scala nazionale l'elettorato si va ormai radicalizzando nel bipolarismo. Montezemolo può invece essere l'uomo giusto, e questa l'occasione giusta, per rifondare l'area moderata: assieme a Casini, a Berlusconi, a Tremonti, a Maroni ed a quel centrodestra che in questi tre anni ha mostrato di saper governare il Paese. Ovviamente la molla, da parte sua, non dovrebbe essere l'antiberlusconismo; mentre quanto al Cavaliere dovrebbe deporre gelosie e sospetti: del resto ha già annunciato di volere (e questo punto, forse di dovere) separare la leadership dalla premiership. Non solo. È urgente che questo rilancio coinvolga le forze sociali che si stanno ripiegando su se stesse e fanno assomigliare l'Italia a un limone spremuto. Imprenditori che piangono con ogni governo, imprese che riescono ad esportare magnificamene ma non scommettono sull'Italia. E sindacati che perdono il passo dai colleghi tedeschi e americani, viste le recenti esternazioni di Susanna Camusso della Cgil. In altri termini, serve un rilancio forte dei moderati, una nuova visione dell'Italia come ebbe Berlusconi nel '94, e soprattutto è indispensabile unire e allargare il loro blocco politico, sociale e quindi elettorale. Per Luca questo può essere il momento, ed il Cavaliere dovrebbe avere la lungimiranza per capirlo.

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