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Italia 2050, la rivolta delle "camicie clorofilla"

Militanti leghisti in costume

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Era cominciato tutto come in Libia. Qualcuno, di memoria lunga, che nel 2011 portava i pantaloni corti, ricordava bene cosa fosse accaduto decenni prima. E ricordava che quasi nessuno, poco dopo, aveva preso sul serio le folkloristiche «camicie clorofilla» che erano scese in piazza per urlare «Secessiùn! Secessiùn!», inalberando cartelli con l'effigie del leader storico Umberto Rossi quasi trascinando a forza il figlio e successore, Renzo detto «Il totano» (che non sapeva mai cosa fare e cosa dire, forse perché amava non fare nulla e quando apriva bocca non aveva nulla da dire). L'allora ministro dell'Interno, Roberto Palloni non era stato risoluto nell'inviare gli agenti antisommossa, nonostante il capo della Polizia Antonio Sfollagenti gli avesse già sottoposto un piano operativo. C'era il rischio di spaccatura dell'Italia, tante volte minacciato, ma sembrava che stavolta potesse accadere qualcosa di molto simile alla Libia. Usa, Europa e Nato erano intervenuti, senza strategia, senza idee chiare, ingarbugliando ancor di più la situazione quando la Francia aveva deciso di dare uno strappo mandando gli aerei a bombardare. Le «camicie clorofilla», incoraggiate dall'irresolutezza politica, avevano preso d'assalto le caserme, alcuni reparti dell'esercito erano passati agli insorti sotto la guida del carismatico generale Eridano Ghedin, un ex reduce dai campi di addestramento Nato in Sardegna ed eroe popolare padano della sagra della piadina. Era troppo per il ministro della Difesa Ignazio La Bielorussa, che in quattro e quattr'otto aveva tolto di mano la situazione a Palloni: non gli era mai piaciuto, il ministro dell'Interno, che nel tempo libero suonava il controfagotto in un gruppo hardrock e sotto sotto simpatizzava con le «camicie clorofilla». Si diceva (ma non era confermato), che sul tavolino tenesse una foto storica e autografata dei Serenissimi che tanto tempo prima avevano occupato piazza San Marco a Venezia, con un autoblindo fatto in casa, e per questo si erano beccati processo e condanna. Eroi da venerare assieme al Dio Po. La Bielorussa aveva inviato i reparti speciali calabresi e quel cerino acceso era diventato un incendio che aveva infiammato un'Italia contro l'altra, spaccata come nel 1944 ai tempi della Linea Gustav. Guerra. Sembrava impossibile: eppure i segnali c'erano stati tutti, da quando di soppiatto nelle scuole del Nord si insegnava ai bambini dell'asilo a cantare «La bella Gigogin» invece di «Fratelli d'Italia»; una volta in Alto Adige un ministro della Repubblica, stupito dalla mancata esecuzione dell'Inno di Mameli, si era visto sgranare gli occhioni azzurri di una maestrina che aveva aggiunto sorpresa: «Was? Noi non konoscere kvesta kanzone» e i bambini avevano intonato «Heidi» della cantante pop Christine von Havena. Ai politici la situazione era sfuggita di mano. Si erano recati in pellegrinaggio nella basilica di Arcore, in raccoglimento davanti all'ultracentenario lìder maximo Silvio Bruschettoni detto «L'Eterno» (si diceva che fosse stato imbalsamato da alcuni specialisti del Cremlino che curavano la mummia di Lenin), per aver lumi che non erano arrivati. Guerra. Ed era accaduto l'impensabile. Altro che Nato, altro che Europa. La Germania aveva rotto il fronte della diplomazia appoggiando i secessionisti, inviando aerei da caccia a bombardare per proteggere, dicevano, le popolazioni civili padane sotto minaccia dei panzer siciliani «Mièzzega» inviati da La Bielorussa. A Berlino si canticchiava con soddisfazione l'Inno nazionale, calcando la parola «Adige» (Etsch) che vagheggiava il confine meridionale della Germania «Über Alles». I francesi, che si erano visti scippare il ruolo avuto nella crisi libica grazie alla «grandeur» del presidente Nicolas Sarkozy, avevano capito che il figlio e successore, Charles Bruni, parteggiava chiaramente per l'Italia da cui proveniva la madre, l'ex modella Carlà con velleità intellettualoidi, di cui aveva adottato il cognome. La coalizione era andata in frantumi, gli Usa si erano defilati, solo il Liechtenstein sapeva cosa fare ma non poteva impegnare i 2 Cessna della flotta aerea tutti insieme e da solo. Era finita male. Durante e dopo le bombe. La Padania si era staccata con una risoluzione dell'Onu che aveva addirittura scomodato i 14 punti di Wilson del 1918 e nel meridione era nata la Repubblica d'Ausonia. L'idillio della Padania, subito cooptata nella sfera di gravitazione della potente Germania, era piano piano sfumato. Il Nord ben presto era diventato il sud del nord. E i tedeschi avevano cominciato a considerare i padani come i «terroni» d'Europa: erano sorti movimenti xenofobi che non li volevano in giro, che pretendevano i permessi di soggiorno e rimandavano indietro quelli che immigravano clandestinamente attraverso le Alpi. Nella Repubblica d'Ausonia, dopo la breve parentesi della presidenza plebiscitaria di Antonio Di Roccia (un tipo strano, pensava di essere un oratore, ignorava la grammatica, la sua sintassi era incomprensibile e voleva dichiarare guerra ad Arcore), c'erano stati numerosi ricambi al vertice, finché la Mafia e la Camorra erano state legalizzate. Il sud era diventato il nord del sud. L'agricoltura prosperava, il turismo tirava (i resti di Pompei, totalmente crollata, erano in cima alla lista dei desideri dei vacanzieri di tutto il mondo), le industrie macinavano utili perché in mano ai cinesi che non scherzavano per nulla quanto a ritmi di lavoro imposti agli operai africani. Grazie a collaudate joint venture con imprenditori napoletani i cinesi copiavano e producevano tutto, dagli spilli alle automobili. Ausonia, col nuovo assetto territoriale, aveva però perso un pezzo estremo. L'isola di Lampedusa era stata proclamata stato libero. Viveva di affari e turismo, i pescherecci riconvertiti pattugliavano le acque territoriali e avevano preso a sparare contro qualunque cosa galleggiante proveniente dall'Africa. In pochi mesi avevano debellato ogni idea di sbarco, a tutela della tranquillità dei danarosi turisti attratti dalle bellezze naturali non meno che dal paradiso fiscale. Hotel, resort e banche dappertutto. Traffici finanziari di ogni genere. Niente più traffici di uomini. Solo qualche vecchissimo abitante ricordava cosa fosse un centro d'accoglienza. Sul vocabolario quella parola era sparita da anni.

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