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Sarkò si beve il nostro latte

L'Ad di Parmalat Enrico Bondi

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Occhio alle date e alle ore. Giovedì 17 marzo il gruppo francese Lactalis annuncia l'acquisto dell'11,42 del capitale della Parmalat. Lactalis è già proprietario in Italia di marchi storici come Galbani, Locatelli, Invernizzi e Cademartori. Dopo gli scandali dell'era Tanzi, costati miliardi ai piccoli investitori, alle banche e allo Stato, Parmalat è un'azienda risanata, senza un euro di debiti e profittevole. È anche la bandiera del made in Italy in un settore di sicuro sviluppo come quello alimentare. Ha, tra le controllate, anche la Centrale del latte di Roma. Vogliamo chiamarla strategica? Facciamolo pure, anche se da noi, a differenza che altrove, a cominciare proprio dalla Francia, il concetto di strategicità serve più a riempirsi la bocca che a produrre fatti concreti. Questa comunque è la prima foto, scattata appunto sei giorni fa. Ecco la sequenza successiva. Venerdì 18, mattina, consiglio dei ministri. Giulio Tremonti lancia l'allarme: Parmalat è l'ultimo caso di una razzìa che l'industria e la finanza di oltralpe sta attuando nei nostri confini. Prima le pressioni di Groupama sui Ligresti, poi il tentativo di conquista di Edison da parte di EdF, che lui, Tremonti, ha potuto sventare con una moral suasion all'ultimo minuto e solo grazie al fatto che il gruppo francese è pubblico ed è alleato di Enel ed Eni, governativi anche quelli. Quindi l'Opa di Lvmh su Bulgari. Ora Parmalat. Il ministro annuncia «in tempi rapidissimi, massimo due settimane» un decreto per tutelare le aziende strategiche. Si convoca a palazzo Chigi l'ambasciatore francese Jean-Marc de La Sablière, al quale Tremonti e Gianni Letta chiedono reciprocità, ricordando che la Francia ha varato nel 2005 un decreto che prevede l'autorizzazione governativa per il passaggio in mani estere delle aziende rilevanti per l'interesse nazionale. Sabato 19, pomeriggio, forum di Confcommercio a Cernobbio. Tremonti annuncia di star facendo «shopping giuridico» per bloccare le scalate straniere, ed invita i giornalisti «a studiare su internet la legge canadese». Sempre sabato 19, sempre Cernobbio. L'amministratore delegato di Intesa, Corrado Passera, annuncia una cordata tricolore per Parmalat, cordata della quale dovrebbe essere protagonista la Ferrero. L'azienda di Alba è leader mondiale nei dolci, e dunque appare una garanzia assoluta. Forse sfugge, o forse no, che la Ferrero non si sia mai voluta quotare in borsa mantenendo la gestione familiare, mentre sia Parmalat sia Intesa fanno parte del listino principale di piazza Affari. In ogni modo sulle terrazze dorate dell'hotel Villa d'Este sul lago di Como tutti si congratulano. Soprattutto con se stessi. Il clima è da scampato pericolo, da «glielo faremo vedere noi, ai francesi». Un po' come per la Libia. Domenica 20, uffici di una banca d'affari, probabilmente Zurigo. I rappresentanti di Lactalis e di Zenit Asset Management, Skagen As e Mackenzie Financial Corporation, i tre fondi stranieri che assieme hanno il 15,3 di Parmalat, si incontrano per studiare il passaggio di quote che consegnerebbe ai francesi le chiavi dell'azienda. Si discute ovviamente di prezzo: i fondi puntano a 2,8 euro, un premio considerevole rispetto alle ultime quotazioni di borsa, ma in linea con i target degli analisti attratti dalle ricadute speculative della guerra finanziaria. Lunedì 21, Milano. La Consob «accende un faro» su Parmalat, chiede chiarimenti a Lactalis. I francesi rispondono di non avere intenzione di crescere ulteriormente. Nel frattempo Cheuvreux, broker del Credìt Agricole abbassa rating a target price dell'azienda di Collecchio, il cui titolo viene sospeso al ribasso. Piccolo particolare: non solo Credit Agricole è la terza banca francese ed è stata azionista di Intesa – da cui è uscita in non ottimi rapporti – ma attualmente controlla il 100 per cento anche di Cariparma. Cioè della cassa di risparmio che ha sede ad un tiro di schioppo da Collecchio. Coincidenze? Qui in Italia tutti aspettano sereni lo shopping canadese di Tremonti e la cordata tricolore. Martedì 22, Milano-Parigi, ore 9. Il quotidiano finanziario Mf rivela ciò di cui evidentemente la Consob non si è accorta: il giorno prima Lactalis, mentre diceva il contrario, ha aumentato di oltre due punti la propria presenza in Parmalat, passando dall'11,42 al 13,68 per cento. Subito dopo il gruppo francese comunica di avere comprato l'intera quota dei tre fondi a 2,8 ad azione. E dunque di detenere il 29 per cento della Parmalat (sulla carta sarebbe il 28,98). Il titolo, dopo la solita sospensione, ovviamente crolla in borsa, fino a meno sette per cento. Si scatena il putiferio politico-sindacale. Il governo annuncia che il Consiglio dei ministri varerà il decreto sull'italianità delle aziende: quando? Domani, cioè oggi. Antonio Catricalà, presidente dell'Antitrust dice: «Siamo molto attenti agli sviluppi della situazione». La Granarolo, altra azienda convoca una conferenza stampa: vorrebbe accodarsi alla famosa cordata tricolore, ma questa cordata dov'è? Sia Intesa, sia Ferrero, tacciono per un bel po'. Nel frattempo parlano i numeri: Lactalis ha pagato 744 milioni di euro per il 15,3. Se i «tricolori» vogliono scavalcarli dovrebbero intanto tirar fuori un miliardo e mezzo; ma raggiungendo il 30 per cento avrebbero poi l'obbligo di lanciare l'Opa. Come dire: i francesi, se anche mollassero e aderissero a questa (del tutto teorica) offerta di acquisto, si sarebbero messi in tasca, e gratis, una plusvalenza coi fiocchi. E con loro i fondi esteri: qualcosa da festeggiare ovviamente a champagne, alla salute de «les Italiens». Fin qui la cronaca e qualche retroscena, aggiornati per quanto è possibile. Ora qualche breve osservazione. I fondi che hanno venduto a Lactalis rivelano in una nota ufficiale «di non avere ricevuto altre offerte». Si attendono smentite dal fronte italico: se non arrivano, significa che gli aspiranti alla cordata tricolore hanno chiacchierato molto e combinato zero. Seconda considerazione. Il governo che oggi varerà il decreto antiscalate fa finalmente sapere di che si tratta: «Un provvedimento che tutela undici settori ritenuti strategici, tra cui l'energia, la difesa e l'agroalimentare. Tra gli aspetti considerati nella messa a punto, la possibilità di intervenire in presenza di un'offerta straniera per una società strategica per valutarne la congruità, ma anche la previsione di un lasso di tempo dalla presentazione dell'offerta straniera per consentire la formazione di cordate nazionali e la proposta di una controfferta». Forse saremo anime semplici, ma non stiamo chiudendo le stalle quando i buoi (anzi, le mucche da latte) se ne sono andate? E se riusciremo a riportarle a casa, a che prezzo verrà fatto? Con tutto il rispetto per Tremonti e colleghi: non conoscono una delle prime regole della finanza, quella secondo cui prima si agisce e poi si parla? Terza e ultima. È ancora nelle sale Il gioiellino, film dedicato ai misfatti di Calisto Tanzi e soci. Siamo per caso già al remake?

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