Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Abbiamo perso un'occasione

Ribelli in Libia

  • a
  • a
  • a

Il governo italiano sta pasticciando, in modo imbarazzante, su un tema delicatissimo. Ministri che dovrebbero star zitti cianciano e si contraddicono, mentre partecipiamo ad una guerra quasi stando dall'altra parte. Abbiamo messo a disposizione le basi, abbiamo fatto levare in volo gli aerei militari, salvo accorgerci che non esisteva un comando comune, del resto fin qui escluso dagli americani. Sembra il festival dell'approssimazione e dell'incoscienza. Leggere i giornali e non trovarvi riflessioni pertinenti, sul fatto che in Libia si combatte una guerra fra europei, semmai imbottiti d'articoli sulle presunte divisioni fra pacifisti e guerrafondai, con annesse facezie sullo scambio dei ruoli, preoccupa. Si ha la sgradevole sensazione di vivere in un Paese ottuso, che antepone ad ogni cosa le menate interne. Quel che sta accadendo è grave e pericoloso. La pace è una gran bella cosa, il pacifismo una gran cavolata. La guerra può essere necessaria, e può essere uno strumento per agguantare pace e libertà, ma entusiasmarsi per l'uso delle armi è da esaltati. Vale sempre. Sicché i conflitti si valutano sulla base delle premesse e delle opportunità. I guai cominciano quando, per giustificare le scelte contingenti, si usano principi assoluti. Nel 1999 ero favorevole all'intervento in Kosovo, per il quale si era fatto cadere il governo Prodi e fatto nascere quello D'Alema (ad opera di Francesco Cossiga), ma questo non m'impediva d'irridere le sciocchezze sulla “guerra giusta”. Avete mai conosciuto qualcuno che ne dichiara una ingiusta? Il punto politico era un altro: impedire che si considerasse praticabile un genocidio in area europea. Anche in quel caso si partì tardi, ma si operò in modo omogeneo e con spirito di coalizione. Alle azioni in Libia non possiamo che partecipare, perché, al contrario dei tedeschi, sotto le bombe abbiamo interessi immediati. L'Italia è il Paese europeo con maggiori interessi, investimenti e cittadini. Se la nostra politica estera fosse stata ben gestita noi avremmo avuto il diritto d'essere i mediatori che portavano all'uscita di Gheddafi dalla scena (con garanzie d'incolumità, non con assurdi mandati di cattura internazionali), oppure, all'opposto, quelli che, nell'ambito di una coalizione internazionale, sparavano il primo colpo. Invece siamo stati trascinati in una condizione in cui siamo i più esposti e i meno rilevanti. Pessima cosa. Il resto è roba secondaria. Si spaccano sia la maggioranza che l'opposizione, ma lo spettacolo è poco avvincente, perché prevale l'irrilevanza dell'Italia. I conflitti, finché durano, stabilizzano i governi. Ma questo rischia di concludersi con un danno ai nostri interessi, cosa che non si perdona a nessun governo. Silvio Berlusconi si trova in una situazione non invidiabile: non è il Presidente Napolitano a coprire il governo in una complicata scelta di politica estera, è il capo del governo a coprire il Quirinale, che ha imboccato la via della guerra senza porsi eccessivi scrupoli costituzionali. Con una differenza: a risponderne elettoralmente sarà solo Berlusconi. E non si creda che la cloroformizzazione della sinistra e del pacifismo ideologico, soffocati dalla guida politica di Napolitano, cancelli il problema, perché l'elettorato perdona molto, quasi tutto, ma non l'insuccesso, non il danno agli interessi collettivi. La scelta non è fra guerra e pace (oramai è guerra), ma fra una politica consapevole, con scelte ragionate, e un'accozzaglia di propagandisti guidati dal caso.  

Dai blog