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«Oro nero a Cina, India e Russia»

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Èevidente che la guerra in atto si giochi anche sull'«oro nero», risorsa chiave contesa a suon di bombe tra Gheddafi e i ribelli della Cirenaica, ma utilizzata anche per convincere occidentali e asiatici a schierarsi: scommettere sulla «lunga vita» del Raìs o sulla prossima rivoluzione. E l'avvertimento - neppure troppo implicito - sia della Guida della Rivoluzione verde sia del Consiglio nazionale libico di transizione suona identico: se si sbagliano le alleanze il prezzo sarà il taglio dello sfruttamento del greggio e la sua cessione alla «concorrenza»Contese, in particolare, Russia e Cina, ma anche India, Paese in forte espansione economica. Forte della riconquista del polo petrolifero di Ras Lanuf, Gheddafi ha mandato un messaggio chiaro all'Occidente, attraverso l'agenzia libica Jana: «Il capo della rivoluzione ha ricevuto ieri gli ambasciatori di Cina, Russia e India con i quali ha esaminato l'evoluzione delle relazioni bilaterali e l'invito alle compagnie dei tre Paesi a sfruttare il petrolio libico». Così, dopo che le maggiori compagnie del mondo hanno lasciato il Paese, il leader è stato esplicito: «Siamo pronti a far venire compagnie indiane e cinesi al posto delle compagnie occidentali». Insomma, una bella sparata. Che, però, a ben vedere potrebbe essere un coup de theatre a livello di comunicazione propagandistica. Non a caso il giorno prima, domenica, la tv di stato libica aveva invitato gli «stranieri» a tornare nel Paese affermando che i porti petroliferi libici sono «sicuri» e stanno riprendendo le attività dopo la fine degli «atti di sabotaggio» compiuti dagli insorti. E, ancora qualche giorno fa, il ministro del petrolio Shukri Ghanem aveva rassicurato: la Libia «onorerà i suoi impegni» con le compagnie petrolifere straniere, compresa l'Eni, perché «Tripoli non intende rimettere in discussione le concessioni». E i ribelli? Il capo del Consiglio Nazionale Libico ha avvertito chi è più tiepido nell'aiuto all'opposizione che verrà negato loro l'accesso al petrolio della Libia se la rivolta anti-Gheddafi dovesse prevalere. E, in questo caso, il focus è proprio su India e Cina, riluttanti ad appoggiare gli appelli dei ribelli per una no fly zone sulla Libia. «Ogni governo nel dopo-Gheddafi - ha detto Mustafa Abdel Jalil - aggiusterà le sue politiche petrolifere a seconda delle posizioni prese dai vari paesi nei confronti della Libia in questi momenti difficili». C'è da dire che l'ultimo carico di petrolio ad aver lasciato la Libia risale al 19 febbraio. La produzione di greggio si sarebbe attestata sui 500mila barili al giorno, contro circa il milione e mezzo del periodo precedente la rivolta. L'85% d era diretto in Europa. Però, l'ad di Eni, Paolo Scaroni, ha ribadito a più riprese come l'impatto sull'Italia dell'interruzione delle forniture di petrolio da parte della Libia sia praticamente nullo, grazie alla politica di diversificazione degli approvvigionamenti perseguita. E se il Cane a sei zampe, maggior operatore energetico straniero in Libia, ha annunciato che a breve interromperà del tutto la produzione in Libia, già ridotta al minimo, sarà però in grado di «riattivarla quando il conflitto finirà». In definitiva, il business potrebbe ancora una volta tornare sovrano. Mar. Coll.

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