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La Cei apre, Casini e Fini s'adeguano

Il presidente Cei Bagnasco

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Che la linea fosse di apertura lo si era capito già dall'editoriale di Avvenire della mattina: «Gli italiani hanno diritto a giudicare una riforma così importante sui fatti, non su slogan e sterili polemiche». Il giornale dei vescovi aggiungeva: «Dai 18 articoli illustrati dal ministro Angelino Alfano non sembrano emergere né effettivi pericoli di sottomissione dei magistrati, giudicanti e requirenti, al potere esecutivo o legislativo (anzi, ne viene riaffermata esplicitamente l'indipendenza e l'autonomia) né norme che potrebbero tornare utili a Berlusconi nei processi in cui è imputato (è infatti esclusa l'applicazione ai procedimenti in corso)». Più tardi, a ora di pranzo, arriva una nuova apertura dalla Cei. Nel documento conclusivo delle Settimane sociali dei cattolici italiani si legge: «La Costituzione può ancora dare tanto al Paese e ciò non significa che sia intoccabile». Non c'è un riferimento preciso alla riforma ma comunque una sorta di nulla osta. Con allegato un appello chiaro: «Bisogna affrontare la questione dell'ineleggibilità di quanti hanno pendenze con la giustizia». Se il quadro è questo a metà pomeriggio Pier Ferdinando Casini è costretto ad aprire seppur con la consueta prudenza: «Staremo al tavolo ma con una giusta dose di diffidenza. Come è giusto che sia». Poi specifica meglio: «Quella sulla giustizia è una riforma che al 90% rinvia a leggi ordinarie e bisogna vedere come si fanno», dice il leader dell'Udc, secondo il quale, quindi, «può essere una cosa o il suo opposto. Noi al tavolo ci saremo, ci sediamo perché il nostro compito è quello di contribuire ad una legislazione migliore, ma con la giusta dose di diffidenza». Quindi afferma: «Nel Terzo Polo c'è sintonia totale». E infatti poco dopo arriva l'ok al dialogo anche di Fini, prima di lui era stato il suo vice Italo Bocchino a mostrare disponibilità: «Futuro e libertà ha il dovere di dialogare sulla riforma della Giustizia. Per due ragioni: perché un partito che vuol essere riformista non può dire no ai processi di cambiamento e perché la giustizia italiana ha certamente bisogno di essere profondamente cambiata nell'interesse dei cittadini». Bocchino metteva le mani avanti: «Dialogare con Berlusconi su questo argomento è però molto difficile. Il premier vuole usare questa proposta di riforma come spada di Damocle sulla testa della magistratura italiana, ha certamente un sentimento vendicativo e un'autorevolezza in materia azzoppata dall'essere plurimputato per reati gravi». In serata il presidente della Camera chiosa: «Non è cupidigia di accordi o inciucio ma è responsabilità definire le regole, le coordinate dello stare insieme non a colpi di maggioranza ma cercando il confronto di tutte le forze politiche». Secondo Fini non bisogna temere «nè la dialettica nè le asperità del confronto perché se si ha la cura dell'interesse nazionale ci sono momenti in cui bisogna cercare ciò che unisce».

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