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I cinici finiani superleghisti

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Roberto Maroni

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Grazie alla sprovvedutezza dell'ex vice ministro Adolfo Urso, che affianca Gianfranco Fini nella gestazione del suo nuovo partito, sappiamo dove il presidente della Camera sia disposto a scendere, dal suo punto di vista, pur di far fuori Silvio Berlusconi: l'adesione o l'appoggio ad un nuovo governo di centrodestra presieduto dall'attuale ministro leghista dell'Interno Roberto Maroni. È la proposta lanciata appunto da Urso in una lunga intervista comparsa ieri sul Corriere della Sera: fra le più ciniche, sul piano politico, che mi sia capitato di leggere in più di 50 anni di mestiere giornalistico. Il cinismo sta nel fatto che la più frequente accusa rivolta da Fini al Cavaliere, prima e più ancora del «cesarismo» e di altre stravaganze scoperte all'improvviso dopo più di 15 anni di alleanza, è stata quella di avere dato troppo spazio alla Lega. Anzi, di essersi lasciato dettare la linea da Umberto Bossi. Un altro governo gradito ai finiani, sempre secondo l'annuncio affidato ad Urso, sarebbe quello presieduto da Giulio Tremonti. Che non è un omonimo, ma proprio lui, l'attuale ministro dell'Economia, accusato da Fini due legislature fa di non «capire un cazzo di politica» e indicato negli ultimi due anni, sempre dai finiani, come una specie di infiltrato della Lega nel Pdl. Ora anche lui va benissimo al presidente della Camera, come anche ai suoi nuovi alleati nel cosiddetto terzo polo guidato da Pier Ferdinando Casini, purché serva ad allontanare Berlusconi da Palazzo Chigi senza rischiare le elezioni anticipate. Consapevoli della impossibilità politica della Lega di rinunciare al federalismo, e del pasticcio in cui si sono ficcati boicottando nei giorni scorsi nella competente commissione bicamerale il decreto legislativo sulla fiscalità municipale, i finiani hanno posto a Bossi solo una condizione. Che è quella - ha spiegato Urso - di «allungare di un paio di mesi» i tempi dei residui decreti, da emanare «sicuramente entro la pausa estiva», anziché il 21 maggio fissato dalla legge. Pensate un po' di quanta ragionevolezza o cautela sono capaci i finiani pur di fare la pelle all'odiato Berlusconi. Bastano e avanzano a Fini 60 giorni per salvare quel che gli è rimasto di faccia, se ancora gliene è veramente rimasta, dopo l'azione di contrasto al federalismo svolta in questi ultimi tempi. Non ci crederete, ma c'è qualcosa che i finiani sembrano disposti a promettere persino al Cavaliere in cambio di una sua disponibilità a farsi «da parte»: addirittura uno scudo giudiziario per i suoi processi, vecchi e nuovi, compresi quelli imbastiti a Milano fra le sue mutande, o lenzuola. «Si potrebbe parlare di eventuali riforme della giustizia», ha detto Urso, sempre lui, con aria sibillina, non si capisce bene se aprendo più al cosiddetto processo breve, bloccato l'anno scorso alla Camera dal solito Fini, o addirittura al ripristino dell'immunità parlamentare. Che fu troppo sprovvedutamente ridotta, quasi abolita, nel 1993 sotto lo shock di Tangentopoli. Dubito francamente della sincerità di tanta improvvisa, e generica, apertura dei finiani al Cavaliere pur di riuscire a disarcionarlo. Né so se agli occhi dei tanti elettori che lo hanno votato, e vorrebbero tornare a farlo, il povero Berlusconi appaia imperdonabile più per la passata fiducia in certi alleati che per quella riposta nelle ragazze e negli esosi amici intercettati dagli irriducibili avversari giudiziari nelle sue residenze, o dintorni.  

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