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La destra riabilitata non da Fini ma da una «generazione invisibile»

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Maora si deve dire perché quanto accaduto nella destra è parte integrante della storia d'Italia e rimarrà nella memoria collettiva. Non è stato Gianfranco Fini a portare la destra fuori dall'eredità del fascismo, lontano dalle insidie del neofascismo, al riparo dal negazionismo, dal razzismo, dalle discriminazioni nei confronti dei "diversi". Né sono stati taluni altri che oggi ricoprono ruoli istituzionali altrettanto importanti e, in maniera goffa, si affaticano a piegare alla propaganda qualunque iniziativa possa sdoganarne un passato imbarazzante. Ma lui è decisamente il caso più emblematico di trasformismo strumentale. Fini si è accomodato, dopo tangentopoli, in una sceneggiatura già scritta per una destra che, sgretolatasi la Democrazia Cristiana, si indirizzava verso la naturale evoluzione moderata. Diciamolo con franchezza, a quel punto non è che ci volesse una scienza per capire il da farsi. Bisognava solo farlo bene, senza gettare tutto alle ortiche per ricostruirsi una verginità. Soprattutto, bisognava farlo davvero, declinando i vecchi valori nei nuovi scenari. Il clima rivoluzionario post-tangentopoli ha creato una grande confusione, ha consentito ai razzisti di confondersi nella mischia, ai golpisti di nascondersi dietro ai lealisti, a coloro che volevano «l'Italia come l'America latina» di dichiararsi convinti democratici. Qui non c'è spazio per indagare a fondo, ma coltivo la speranza che qualche politologo faccia giustizia di tante falsità e si metta, presto o tardi, sulla strada della verità: una «generazione invisibile» ha anticipato e costruito Fiuggi, dando dignità culturale a quella che altrimenti sarebbe stata la nascita di un mero prodotto commerciale per elettori e mass media. Mentre dagli schermi televisivi andavano in onda gli attori del «nuovo», uno scontro feroce si era consumato dietro le quinte. E aveva il suo spesore. La «generazione invisibile» andò allo scontro con l'establishment perché odiava la violenza e il razzismo e riteneva che il fascismo si dovesse consegnare alla storia, senza promiscuità. Sfidando i divieti organizzò un'assemblea antirazzista in una sezione del Msi, con due attuali parlamentari del Pd, Roberto Giachetti ed Enrico Gasbarra e l'indimenticato don Luigi Di Liegro, allora direttore della Caritas diocesana. Sul filo dell'espulsione, dormì in tenda in un parco pubblico in solidarietà con un extracomunitario aggredito dai naziskin e coi naziskin sostenne uno scontro feroce, pagato a caro prezzo, di cui il partito si disinteressò. È una storia disconosciuta, eppure drammaticamente vera. Quella generazione occupò la sede di un Centro per malati di Aids per difenderla da una protesta di scalmanati che avevano scambiato l'Hiv per una peste contagiosa, i malati per dei parìa. E ancora: consegnò, il 24 novembre del 1992, al Rabbino capo Elio Toaff una lettera aperta con la quale si ripudiava senza appello il razzismo, si giudicavano un «orrore» le leggi razziali del 1938, sfidando l'allora segretario del Msi Gianfranco Fini che, solo dieci anni più tardi, avrebbe detto le stesse cose. All'epoca nemmeno una telefonata d'incoraggiamento, solo un grande gelo. Ha fondato il volontariato a destra, portando aiuti o costruendo opere in Croazia, Slovenia, Bosnia, Kossovo, Nigeria, Sahara occidentale, Argentina, Afghanistan, Congo, Sudan e volando in Israele per formarsi nei kibbutz. Aveva «tolto i busti del duce» dalle sedi ben prima che lo imponesse la realpolitik, veniva definita con disprezzo «demoproletaria» perché portava da mangiare agli indigenti, puliva il sedere ai ragazzini nei Centri estivi invece di indossare una mimetica ed esibire la mascella quadrata. È stata la «generazione invisibile» a costruire la «destra presentabile», Fini non c'entra. Anzi, se non avesse avuto Pinuccio Tatarella probabilmente starebbe ancora avvolto nel suo impermeabile avana nelle ore diurne e indosserebbe l'orbace nelle rimpatriate dal «federale». Furono un nugolo d'intellettuali e un manipolo di temerari, inebriati dalla cultura del fare, i protagonisti autentici di una rivoluzione antropologica che viene da lontano. Ma quelli che passavano da «Mussolini più grande statista del secolo» a Fiuggi in pochi minuti, dovevano liquidare la storia della destra in un colpo solo, per essere credibili nel loro pentimento. Mentre si smontava l'identità, la «generazione invisibile» visitava le terre di bonifica, studiava l'E 42, si ricongiungeva con gli eroi ad El Alamein, visitava Fiume e Pola, s'inchinava davanti alla foiba di Basovizza, s'arrampicava sui gradoni di Redipuglia e cantava l'inno di Mameli. Si può modernizzare, senza cancellare tutto. Fini è stato solo il beneficiario di tanto lavoro e altrattanta fortuna e non ha mai avuto l'umiltà di un gesto disinteressato. Non ha emancipato la destra, non l'ha condotta verso il futuro, ha semmai assecondato il corso della storia e, quando ha fatto di testa sua, ha polverizzato tutto quanto si trovava a guidare. Né saprà fare adesso quel che non ha fatto nel giusto momento. È ora di sfatare questo luogo comune. Dispiace per la nonna Navarra, che poche ore fa il presidente Fini, con grande sensibilità e alto senso della famiglia, si è accorto essere probabilmente ebrea, dopo soli sessant'anni... Suo nipote era così... Dedicato alla «generazione invisibile», protagonista del XX secolo. * Parlamentare Pdl

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