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Lo scarso coraggio che scontenta tutti

La Consulta decide sul legittimo impedimento

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Ai giudici della Corte Costituzionale, che hanno appena sancito  la illegittimità solo parziale del temporaneo scudo processuale del capo del governo e dei ministri, i bicchieri evidentemente non piacciono né vuoti né pieni. Debbono essere metà vuoti o metà pieni, in modo da scontentare quei poveri ingenui, come sono i comuni cittadini, che li reclamano vuoti o pieni del tutto prendendo per buono l'articolo 134 della Costituzione. Che conferisce alla Corte il compito di "giudicare", e non tergiversare, "sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni". E' insomma mancato alla Corte il coraggio, e il buon senso, di confermare o di bocciare del tutto un provvedimento sul quale avrebbe dovuto avvertire invece l'obbligo di un pronunciamento netto, non foss'altro perché vicino alla sua scadenza, in autunno, e impugnato anche con un referendum abrogativo, dalla stessa Corte ammesso solo il giorno prima. Sulla praticabilità di questo referendun, per effetto del giudizio solo parziale emesso dai giudici costituzionali sulla legge in questione, dovrà ora pronunciarsi la Cassazione. Così le decisioni si rincorrono come le mani di Ponzio Pilato.   Il liquido che la Corte ha lasciato o versato nel bicchiere del cosiddetto legittimo impedimento è tuttavia sufficiente -bisogna ammetterlo- a soddisfare un bel po' della sete dei magistrati milanesi smaniosi di proseguire nei processi al presidente del Consiglio. Le parti della legge che la Corte ha praticamente reciso con il suo bisturi restituiscono infatti a quei magistrati quasi per intero il diritto di valutare alla loro maniera le ragioni di impedimento al processo addotte dall'imputato alle prese con impegni di governo. Del resto, il cosiddetto popolo viola antiberlusconiano radunatosi davanti alla Corte ha festeggiato il verdetto. E' singolare che i cosiddetti esperti della materia, i professorini e i professoroni che si vantano di saper leggere meglio di altri tra le righe, le virgole e i punti della Costituzione, siano compiaciuti del carattere "compromissorio" della decisione presa dalla Corte. Essi non si rendono conto, nella loro astratta contemplazione della "più bella Costituzione del mondo" solitamente decantata dal segretario del maggiore partito di opposizione, che è proprio il carattere compromissorio della decisione di ieri a confermare la natura più politica che giurisdizionale della Corte. Non a caso essa è composta prevalentemente da giudici di nomina o elezione politica.   A meno che non si voglia negare valenza politica al presidente della Repubblica e alle Camere, che nominano ed eleggono, rispettivamente, dieci dei quindici giudici costituzionali, spettandone gli altri cinque alle "supreme magistrature ordinaria ed amministrative", come dice l'articolo 135. I fatti hanno purtroppo dato largamente ragione non solo o non tanto a Silvio Berlusconi, di cui è nota la diffidenza verso la Corte Costituzionale proprio per la sua natura inevitabilmente politica, quanto a Palmiro Togliatti. Che all'Assemblea Costituente, come ha magistralmente ricordato ieri Francesco Perfetti ai lettori del Tempo, ma ancor più agli smemorati eredi del Pci, definì la Corte Costituzionale "una bizzarria": una previsione e un giudizio condivisi, fra gli altri, dal costituente Pietro Nenni. Fu ed è la prima, non unica, bizzarria di una Costituzione ormai da cambiare, e in fretta, non certo da venerare.  

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