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I fantasmi democatici

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Pierluigi Bersani

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In attesa del solito aiuto, o aiutino, della Corte Costituzionale e dintorni giudiziari, gli avversari di Silvio Berlusconi hanno cercato per un po' di coltivare contro di lui il fantasma di Giulio Tremonti. Che si è però rapidamente dissolto anche sui loro giornali, dove hanno capito che il ministro dell'Economia non è così "matto", come dice Umberto Bossi, da prestarsi al suicidio di uno sgambetto al Cavaliere. Ma ora è sulla sinistra che incombe, e non da solo, un fantasma molto più concreto e pericoloso. È quello di Sergio Marchionne, l'amministratore delegato della Fiat. Che, significativamente apprezzato ieri dal presidente del Consiglio, ha rotto nel paniere del Pd di Pier Luigi Bersani anche quelle poche uova che erano ancora rimaste intatte dopo il fallimento dell'assalto parlamentare al governo condotto in compagnia del presidente della Camera Gianfranco Fini. Il referendum di oggi e domani a Mirafiori, seguito alla coraggiosa svolta impressa da Marchionne nelle relazioni industriali, ha messo a nudo tutta l'impotenza di quello che era una volta il forte e temuto Pci. Ed è ora, dopo le scissioni che ha subìto sul versante massimalista e l'unificazione con i resti della sinistra democristiana, solo un'ombra di movimento politico.   Dove è possibile, per esempio, che Massimo D'Alema vada in televisione a sostenere disinvoltamente che il suo compagno di partito Piero Fassino fa bene come candidato a sindaco di Torino a sostenere il sì nel referendum di Mirafiori, essendo in gioco la sopravvivenza della fabbrica piemontese, ma ha torto come dirigente del Pd. Di cui D'Alema, con o senza indumenti di cachemire addosso, non poteva né potrebbe rappresentare meglio l'inconsistenza come forza di governo. Hanno ragione da vendere, oggi in direzione e domani altrove, i rottamatori capeggiati dal sindaco di Firenze Matteo Renzi, odiati e isolati nel loro partito perché non sono ossessionati da Berlusconi. Che come fantasma naturalmente precede nel Pd Marchionne, ma ora anche Pier Ferdinando Casini, liquidato da Bersani e D'Alema come un "tentenna" qualsiasi da quando ha osato proporre in nome della "pacificazione" la rinuncia ad una opposizione pregiudiziale e assoluta al Cavaliere. Ma forse per questo Casini rischia di diventare un fantasma anche per Fini, che nel costituendo polo della Nazione, o come diavolo finirà per chiamarsi, se mai nascerà davvero, mostra già di soffrirne la leadership, anche se dice di "ridere" a sentir parlare dell'argomento. Oltre ai fantasmi illenzuolati, incombono sul Pd i vampiri: quelli che gli fanno concorrenza a sinistra, pur provenendo qualche volta per cultura o abitudini da destra, e gli succhiano voti come sangue.   Penso naturalmente al movimento di Nichi Vendola, corso ai cancelli di Mirafiori per scimmiottare i segretari del vecchio Pci e soffiare sul fuoco della protesta di turno, e all'Italia dei valori bollati di Antonio Di Pietro. Che è riuscito a far sognare la Fiom-Cgil, nello scontro con Marchionne, più della stessa Cgil e del Pd. È lo stesso Di Pietro che nel 1994 il Movimento Sociale di Fini raccomandò come ministro a Berlusconi, che D'Alema nel 1997 fece eleggere senatore nel collegio fra i più rossi d'Italia e che Walter Veltroni, oggi critico con le confusioni e le indecisioni di Bersani, apparentò elettoralmente tre anni fa ad un Pd a presunta vocazione "maggioritaria" e moderata, dopo la rottura transitoria con i partitini massimalisti di sinistra.  

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