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Mazzini e la profezia sul comunismo

Una statua raffigurante Giuseppe Mazzini

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Devo confessarti, caro direttore, che per l'uomo Mazzini, che Il Tempo ha ieri onorato con un'accurata antologia di suoi pensieri, provo una profonda avversione, corretta almeno in parte da un solo motivo di ammirazione. Questo motivo è la lungimiranza con cui, nell'aprile del 1847, durante il suo esilio inglese, in un articolo scritto per il «People's Journal» di Londra, in aperta opposizione a quanti, nel dibattito sul comunismo, in quegli anni vivacissimo in Europa, escludevamo che esso potesse sfociare in un una perfetta tirannia, ne previde al contrario lucidamente gli esiti totalitari. «Con il comunismo - scrisse in quell'articolo - avrete una centralizzazione con una gerarchia arbitraria di capi con l'intera disponibilità della proprietà comune, con il potere di decidere circa il lavoro, la capacità, i bisogni di ciascuno. E questi capi, imposti od eletti, poco importa, saranno, durante l'esercizio del loro potere, nella condizione dei padroni di schiavi degli antichi tempi; e influenzati essi medesimi dalla teoria dell'interesse che rappresentano, sedotti dall'immenso potere concentrato nelle loro mani, si sforzeranno di riassumere per mezzo della corruzione la dittatura delle antiche caste». Questa frase è certamente una delle più abbaglianti profezie che siano mai state pronunciate sugli effetti del miraggio comunista. Ma questo non basta a vietarmi di detestare i ben noti aspetti terroristici dell'attività cospirativa di Mazzini e il suo ascetico, ossessivo fanatismo. Sul quale forse nessuno scrisse pagine più acute di quelle che Alessandro Herzen gli dedicò in «Il passato e i pensieri», il bel libro di memorie in cui il grande socialista russo rievocò le sue esperienze di fuoriuscito nelle diverse città europee (Londra, Roma, Ginevra, Losanna, Parigi) in cui gli accadde di soggiornare. Ecco alcune sue vivide annotazioni: Losanna, novembre 1847: «Mazzini è molto cortese, ma specialmente nelle discussioni a fatica riesce a dissimulare la stizza se viene contraddetto. Conosce la sua forza e trascura palesemente di celare tutti i segni esteriori della scena dittatoriale. A quel tempo a Ginevra accentrava nelle sue mani i fili di un telegrafo psichico che lo mettevano in comunicazione con tutta la penisola. Conosceva ogni pulsazione del suo partito, ne avvertiva la minima scossa, alla quale rispondeva immediatamente. A tutto e a tutti imprimeva l'indirizzo generale con straordinaria instancabilità. Fanatico e nel contempo organizzatore, ricoprì l'Italia di una fitta rete di società segrete, collegate fra di loro e tese verso un'unica meta». Londra, febbraio 1853: «A Londra una volta Mazzini e io avviammo una discussione su Leopardi (...) Agli uomini di azione, agli agitatori, ai sommovitori di masse, queste riflessioni corrosive, questi dubbi distruttori, risultano incomprensibili. Essi vi vedono soltanto una sterile querimonia (...) Mazzini non poteva soffrire Leopardi (...) Si capisce, ce l'aveva con lui perché non poteva utilizzarlo per la sua propaganda». Londra, gennaio 1861: «Per Mazzini gli uomini non esistono, per lui esiste la causa, e per di più un'unica causa; egli stesso esiste, "vive e si muove" soltanto in essa. È un asceta, un Calvino, un Giovanni da Procida della liberazione d'Italia. Unilaterale, eternamente preso da un'unica idea, eternamente pronto e sul chi vive, Mazzini non dorme...» Quale ossessione, quale esaltazione, quale ottusità!

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