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Casini balla da solo e Gianfranco è fregato

Pierferdinando Casini

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Davanti alla tabaccheria di Montecitorio, Luciano Ciocchetti s'è già infilato il cappotto e sta andando via. Si ferma a chiacchierare. Non si schioda su un punto il vicepresidente del Lazio: «Siamo arrivati al collo di bottiglia. O Berlusconi sale al Colle e fa un nuovo governo, e allora potremmo entrare, o non se ne fa nulla». Un governo con Pdl e Lega e senza Fli? «Be', sicuramente i rapporti sono ora un po' freddini». Che succede tra Udc e finiani? Succede che Pier Ferdinando Casini va allo stadio San Siro per assistere a Milan-Fiorentina, sabato sera, parla fitto fitto con Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset. Il giorno apre al governo, chiede un armistizio e propone un tavolo. Certo, il punto fisso resta un netto segnale di discontinuità. Stop all'attuale governo e via a un nuovo esecutivo, nessuna preclusione se fosse guidato ancora dal Cavaliere. Casini dunque si muove. Balla da solo. Si smarca da Fini che appare sempre più bloccato, fermo, incatenato anche dalle divisioni interne. Pier si muove sempre più liberamente. Incassa per esempio un regalo non da poco visto che la maggioranza va sotto consentendo all'Udc di guadagnare un seggio al Parlamento Europeo (sarebbe spettato al Pdl, comunque resterà all'interno del Ppe di cui fa parte anche il partito di Casini). Confessa un fedelissimo di Pier: «Non c'era un vero e proprio accordo ma sapevamo che un pezzo del Pdl e forse qualcuno della Lega avrebbero votato con noi o non avrebbero partecipato al voto. E così è stato». Più tardi Casini arriva in Aula e assesta un bel colpetto ai finiani che già se la stavano godendo con il Pd e l'Idv sulle mozioni per il pluralismo in Rai. Un testo con il quale Fli, assieme all'opposizione, sperava di bacchettare il direttore generale Rai, Mauro Masi, e al direttore del Tg1, Augusto Minzolini. Ma Pier gli rompe le uova nel paniere e frena sulla sortita di Bocchino & C. Prendendo la parola in Aula, l'ex presidente della Camera avverte che, mentre si voterà la censura alla Rai a Montecitorio, «guarda caso nelle stesse ore al Senato è stata presentata un'altra mozione con contenuti opposti e censure ad altre trasmissioni televisive». Dunque, «stiamo attenti perché se si va avanti con la possibilità per le maggioranze pro-tempore nelle singole assemblee - e magari in questo caso la maggioranza pro-tempore della Camera non corrisponde alla maggioranza pro-tempore del Senato - di censurare le singole trasmissioni televisive, si apre una spirale che non si sa dove ci porta», ammonisce il leader centrista. Che poi affonda: «Dove finisce l'autonomia delle singole redazioni?», domanda Casini. E chiosa: «La mia arma è il telecomando». Un modo garbato per ammonire: ma che state combinando? Frena pure sul governo tecnico: «Se il governo si dimetterà, il presidente della Repubblica dovrà indire le consultazioni e noi gli comunicheremo il nostro pensiero». E soprattutto sembra chiudere a ipotesi di intesa elettorale con Gianfranco Fini, ipotesi che preoccupa non poco la Chiesa: «Per ora, balliamo da soli, anche perché mi pare che non siamo affatto ininfluenti come si diceva all'inizio», dice Pier alla presentazione del libro di Vespa "Il cuore e la spada". Quindi spiega: «In caso di elezioni, al Senato (dove lo sbarramento è all'8%, alla Camera è al 4, ndr) troveremo le soluzioni tecniche in modo da non regalare i seggi che ci spettano». Alleati con Fini e Rutelli, chiede Vespa? «Alleati, al Senato, con chi si riterrà compatibile», risponde Casini. Di sicuro i finiani sembrano spiazzati. Soprattutto sulla mozione Rai. Il capogruppo di Fli, Italo Bocchino, prova a rassicurare: «Nella nostra mozione presentata a Montecitorio - spiega in Aula - non c'è nessuna censura, ma solo un invito al governo ad avere garanzie scritte sul pluralismo». Poi però gli uomini di Gianfranco smentiscono dissidi: è tutto ok, assicurano. Alla bouvette il falco finiano Aldo Di Biagio sottolinea: «Giochiamo in modo diverso ma nei momenti decisivi saremo uniti, faremo gol nella stessa porta». E anche il fuoriuscito udc Saverio Romano, ora in maggioranza, mette le mani avanti: «Macché riavvicinarsi, Casini appena fa un passo verso di noi viene subito richiamato alla base da Bersani». Per ora ad essere richiamato è proprio il leader del Pd, ma da Di Pietro, che s'infuria per le ultime prese di posizioni dell'Udc: «Ripeto a Bersani ciò che ho sempre sostenuto: non ha senso che continui a rincorrere Casini prendendo schiaffi e sberleffi». Un pensiero che lentamente si forse fa largo anche nella mente di Fini.

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