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Siamo arrivati al crepuscolo di una nazione

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Dasettimane stiamo evocando scenari fantasiosi, mentre la realtà è la visione del vuoto che abbiamo davanti. Non c'è nessuno che può dirsi soddisfatto, neppure i congiurati incapaci di intravedere sorti magnifiche e progressive dopo aver consumato i loro rancori, i risentimenti sedimentatisi negli anfratti delle loro cattive coscienze. Si dirà che prima o poi doveva smorzarsi l'entusiasmo coltivato per quasi due decenni. Era fisiologico ed inevitabile. E ci eravamo andati perfino preparandoci all'inevitabile evento. Ciò che non potevamo prevedere era l'indecenza del contesto nel quale si è affollato di tutto, dalle corti dei miracoli e quella puttaneria che sempre si situa al centro delle compagnie morenti seguendole negli ultimi scampoli di vitalità che mostrano. Fosse soltanto il crepuscolo di un governo, di una coalizione, di una maggioranza, di un regime, potremmo cavarcela con una scrollata di spalle immaginando l'arrivo di un'alba nuova. Si tratta invece del crepuscolo di una nazione di fronte alla quale le sollecitazioni al senso di responsabilità hanno acuito l'odore del sangue, eccitando i cacciatori sulle tracce della selvaggina agonizzante. Non c'è stato niente da fare: che il Paese finisca devastato come finiscono tutti i bordelli; saranno le generazioni future a rimettere a posto i cocci. Seguono delusioni, amarezze, improperi e molti sarcasmi. Ma tutti hanno qualcosa da temere nella livida luce che precede il buio. Volete che il tremebondo centrosinistra gioisca davvero per una crisi che nessuno sa che piega prenderà? Pensate che i terzopolisti nutritisi parassitariamente all'ombra di un bipolarismo rissoso non temano per le loro posizioni di rendita? Siete convinti che il Grande Accusatore, il Moralizzatore neo, ex e post, riuscirà laddove hanno fallito tutti i suoi predecessori dello schieramento avverso? Vi illudete che la creatura malformata, gracile, prematura troverà lo slancio vitale, prometeico per sfidare gli zeloti? Non accadrà niente di tutto questo. La decomposizione è incominciata e nessuno sa dire quando terminerà. Chi ha messo in gioco i destini dell'Italia - e sono in tanti, naturalmente - non creda di guadagnarsi una facile assoluzione. Quale che sia la conclusione della crisi, nessuno ne uscirà bene. La comunità nazionale subirà più di tutti lo sbrego alla ragionevolezza che si è consumato e tenterà di vivacchiare come potrà sempre che un qualche tsunami non se la porterà via: le frattaglie politiche galleggeranno sopra le acque fino a quando qualcuno non s'incaricherà di raccattarle e riporle in una capiente discarica, senza correre il rischio di proteste improprie. La fine di una stagione lascia inevitabilmente spazio a malinconie che non si assorbono in un lamento. Restano anche pezzi sparsi di tormento ricordando ciò che è alle spalle di chi ha ritenuto che un'altra Italia poteva vedere la luce. Qualche imbecille parla di Terza Repubblica. Ma bisognerebbe prima seppellire la Seconda. Malauguratamente per chi si è illuso, essa non è mai nata. Celebriamo, pertanto, un funerale senza il morto. Al crepuscolo, quando le ombre s'intrecciano, può anche accadere che la realtà si confonda con la fantasia.

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