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Il Cav ascolta il Colle, fiducia solo dopo la legge finanziaria

Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

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La strada è segnata, non ce ne sono altre. Berlusconi andrà prima a vedere se ha la fiducia al Senato e subito dopo alla Camera. Ma prima di muoversi aspetterà l'approvazione della legge di stabilità. Il premier ieri ha messo nero su bianco il piano che ha in mente ormai da qualche giorno, inviando una lettera ai due presidenti Renato Schifani e Gianfranco Fini nella quale spiega di voler «rendere comunicazioni presso il Senato della Repubblica sulla situazione politica – anche alla luce del preannunciato ritiro della componente di Futuro e Libertà per l'Italia dal Governo da me presieduto – immediatamente dopo la definitiva approvazione della legge di stabilità e del bilancio dello Stato». Una priorità che ha sostenuto soprattutto Giorgio Napolitano. E proprio al capo dello Stato fa riferimento il premier quando scrive che l'approvazione della Finanziaria rappresenta un adempimento «la cui inderogabile necessità ai fini di una positiva stabilizzazione del nostro quadro economico e finanziario è stata da più parti, anche in modo estremamente autorevole, sottolineata». «Su tali comunicazioni – prosegue la lettera – il Governo ha intenzione di verificare il permanere del rapporto di fiducia da parte del Senato e, immediatamente dopo, da parte della Camera dei deputati. La richiesta che avanzo tiene naturalmente conto del fatto che le mie ultime comunicazioni sulla situazione politica – con relativa richiesta del voto di fiducia – vennero da me rese in data 29 settembre prima presso la Camera dei deputati e quindi, il giorno successivo, presso il Senato della Repubblica». Ma se il percorso è stato disegnato quello che accadrà dopo la doppia fiducia è ancora avvolto nella nebbia. L'ipotesi ancora oggi più probabile è che il premier si ritrovi ad avere la maggioranza solo a palazzo Madama. Situazione che lo costringerebbe ad andare da Napolitano a presentare le dimissioni. Il capo dello Stato gli darebbe però almeno un'altra possibilità di formare il governo con una nuova maggioranza. Ma è a questo punto che le soluzioni si ingarbugliano. Perché Pier Ferdinando Casini non sembra disposto ad entrare neppure così nella coalizione di centrodestra. Gli «esploratori» del Pdl lo stanno «corteggiando» da settimane ma il leader dell'Udc non fa un passo avanti. E neppure le pressioni del Vaticano – che pure raccontano in ambienti del centrodestra sono state insistenti e continue – sono riuscite a fargli cambiare idea. Insomma Casini sembrerebbe determinato a non entrare in una coalizione guidata ancora da Berlusconi. Il prezzo da pagare ai centristi sarebbe quello di scegliere un altro premier, sempre del Pdl. Ma il Presidente del Consiglio a fare un passo indietro non ci pensa assolutamente. Non vuole dare l'impressione di arrendersi, non vuole darla vinta ai suoi avversari. E – continua a ripetere – non ha nulla di cui rimproverarsi tanto da farsi da parte. Dunque, a quel punto, l'unica strada sarebbe il voto. A meno che Napolitano non sia disposto ad avallare la soluzione di un governo di transizione.

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