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Bersani lancia l'ultimatum a Fini

Pierluigi Bersani

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È mezzogiorno quando il segretario del Pd Pier Luigi Bersani legge le dichiarazioni del premier Silvio Berlusconi su donne e gay. E prende una decisione repentina: convocare una conferenza stampa nella sede del partito. Il leader dell'opposizione è finalmente pronto allo scontro finale? Non ancora. Perché anche se Bersani è sicuro che «giorno dopo giorno questo centrodestra, Berlusconi in testa, porta il Paese nel caos». Anche se è evidente che il premier «nasce e intende morire nel discredito della politica» e che, come Sansone, «vuole abbattere tutto con tutti i Filistei», c'è un piccolo, irrilevante, particolare: il Cavaliere è ancora a Palazzo Chigi. Prima, quindi, c'è bisogno che qualcuno gli "stacchi la spina". Per questo Bersani lancia il suo ultimatum: «Non abbiamo davanti settimane o mesi ma giorni e ore. Chi ha voglia di fare qualcosa, questo è il tempo». Un ultimatum che ha come interlocutore privilegiato Gianfranco Fini e i suoi (l'impressione è che il presidente della Camera possa annunciare domenica a Perugia l'appoggio esterno all'esecutivo), ma anche gli ex Forza Italia e la Lega. Insomma, per usare le parole del segretario democratico: «Se nella maggioranza c'è qualcuno di responsabile, ci dicesse qualcosa. Noi siamo pronti a discutere». E ancora: «Il Pd si mette a disposizione per una ragionevole riscossa. I particolari li vediamo in cronaca». Che fuori di metafora significa essenzialmente una cosa: ad oggi non ci sono i numeri per approvare una mozione di sfiducia al Cavaliere su cui costruire una maggioranza alternativa necessaria per lanciare un governo di transizione. I Democratici, lascia intendere Bersani, sono pronti a affondare, ma prima devono arrivare segnali dalla maggioranza. Perché, spiega il segretario, «è il momento di atti efficaci». Nessuna improvvisazione, quando il colpo verrà sferrato sarà "mortale". Tanto la road map per il dopo-Berlusconi è già tracciata. Il Pd, spiega il segretario, non vuole le elezioni. Non perché teme di perderle («Non credo ci sia qualcosa che faccia maggiore paura che andare avanti così»), ma perché con questa legge elettorale «uno, con il 34% dei voti, può eleggere il presidente della Repubblica». Ora siccome è improbabile, visti i sondaggi, che i Democratici ottengano il 34% dei voti è ragionevole pensare che Bersani tema che quel presidente della Repubblica sia Berlusconi. Ma al di là delle considerazioni numeriche sul dopo, a preoccupare il segretario sono le considerazioni numeriche sul presente. Senza i deputati Pdl che a via del Nazareno descrivono in "forte disagio" per le ultime vicende e senza la pattuglia di Fli il governo tecnico non esiste. Certo, un aiutino, potrebbe arrivare dal Carroccio, anche se Bersani spiega che non accetterà mai un governo a guida Lega perché il Pd lavora per la discontinuità ma «non a qualsiasi prezzo. Non siamo pronti a tutto, non ci si può aspettare che facciamo da stampella per un governo di centrodestra». In ogni caso gli uomini del Senatùr, anche per l'illustre precedente del 1996, restano interlocutori privilegiati. E a via del Nazareno si spera che la carta del federalismo possa servire da contropartita. Per ora, però, gli occhi del Pd sono tutti puntati su Perugia e su Fini. E nelle stanze del quartier generale democratico c'è molta fiducia. Al punto che ci si interroga già sul possibile premier (i nomi che circolano sono quelli di Beppe Pisanu e Mario Monti) e al punto che Bersani traccia già un programma del governo tecnico: non più solo legge elettorale ma anche «uno stralcio di riforma fiscale» e un «intervento a favore dell'occupazione giovanile». Fermo restando che tutto è modulabile e legato al confronto con i possibili compagni di viaggio. L'ultima annotazione riguarda il fronte interno. Oggi pomeriggio il segretario incontrerà Matteo Renzi, il leader dei "rottamatori" che si riuniranno da venerdì a domenica a Firenze. Non si sa ancora se Bersani parteciperà all'incontro anche perché sabato a Roma si svolgerà l'assemblea dei segretari di circolo («avrò 1000-2000 segretari» dice). Ma una cosa è certa. Se vuole traghettare il Pd verso un governo tecnico Bersani deve almeno assicurarsi di portare con sé tutti i suoi.

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