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Michele De Feudis BARI Strano partito il Pd.

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Intutti i Paesi europei la questione sarebbe considerata un normale avvicendamento, mentre in Italia liberare posizioni per "giovani" cinquantenni con una lunga gavetta alle spalle diventa quasi reato di lesa maestà. La settimana scorsa Pier Luigi Bersani aveva affrontato l'argomento degli "innesti verdi" nel partito con piglio giovanilistico, rispondendo così alle cannonate dei ribelli vicini al primo cittadino toscano: «La ruota deve girare. Noi della vecchia guardia possiamo tenere ancora un po', poi però dovremo andare a riposarci». La linea sembra dettata, ma nel capoluogo pugliese il messaggio non è arrivato. Dal primo novembre l'amministrazione dell'Università degli studi ha scelto di mandare in pensione per raggiunti limiti di età ben trentanove professori, tra ordinari, associati e ricercatori in camice bianco (alcuni dei pilastri della facoltà di Medicina). La decisione è stata travagliata, ma alla fine è stata presa. Tra gli oppositori di questo orientamento si è schierato Francesco Boccia, parlamentare del Pd ed economista vicino ad Enrico Letta, subito insorto: «Invito l'Università a non cadere negli errori tipici baronali che hanno affossato le Università del sud. Parlo da giovane ricercatore che ha condotto una battaglia da giovane trasferendosi all'estero e tornando in Italia. Io stesso, nel mio campo, farei di tutto per avere sempre disponibile uno più bravo di me». Insomma la moral suasion puntava a conservare il posto dei vari potenti primari. Come? Con questa soluzione: «Questa vicenda è kafkiana se a persone come Prete e Selvaggi (due docenti pensionati ndr) non viene data l'opportunità - non di occupare spazi che vanno indubbiamente ad altri - di prestare la loro opera a titolo gratuito alla comunità e ai giovani che stanno crescendo. Delle due l'una: o viviamo in un mondo di geni e i talenti non servono più, o prevale un regolamento di conti interno». Infine il peana finale: «Bari - conclude Boccia - forse è uno dei pochi esempi in cui ci sono 70enni straordinari. Per questo, l'Università è grande anche quando è umile, prendendo il meglio dei giovani a cui consentire di fare passi in avanti, ma soprattutto quando chiede a un 70enne di restare e lasciare il suo talento a disposizione dei giovani». Insomma se da un lato l'opposizione si dichiara sensibile alle rivendicazioni dei giovani ricercatori che hanno manifestato davanti a Palazzo Chigi chiedendo lumi sul proprio futuro, dall'altro è ben attenta a tutelare lo "status quo" baronale. Poi c'è la verità contabile: mantenere i trentanove docenti in servizio non sarebbe stato affatto a costo zero. «Anche i contratti gratuiti - spiega Luigi Dabbicco, consigliere d'amministrazione dell'Università di Bari di destra Azione universitaria - prevederebbero la sottoscrizione di polizze assicurative. Per non parlare di quanto sarebbe complicato far lasciare stanze e potere ad un barone radicato da oltre cinque lustri...Sul piano didattico poi siamo all'assurdo: possibile che questi docenti non siano stati in grado di allevare nelle proprie scuole giovani in grado di sostituirli? Questo è il vero scandalo».

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