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Trattare con Fini o è la fine

Il premier Silvio Berlusconi

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L'immagine dello stato di salute del Pdl è sul tavolo della buvette del Senato a ora di pranzo, proprio mentre in commissione Affari costituzionali si sta cercando una soluzione per mandare avanti il lodo Alfano. Lì, sul grande tavolone di legno utilizzato solitamente per appoggiare cappuccini e spuntini, c'è una copia del Fatto, aperta alla pagina che riporta una nuova inchiesta su Berlusconi. Stavolta la Procura è sulla pista di una giovane marocchina che dice di esser stata molestata dal premier quando era ancora minorenne. Un senatore del Pdl solitamente ben informato scuote la testa, sospira e si lascia scappare: «Ecco, mancava solo questo. Nelle prossime settimane aspettiamoci di tutto. Ogni giorno ci sarà qualcosa di nuovo su Berlusconi. Oggi gli danno del pedofilo, poi del riciclatore con l'inchiesta sulla Banca Arner, poi il botto finale con le inchieste di Palermo e Caltanissetta con Silvio in affari con la mafia: sono giorni che ascoltano pure Ciancimino junior su Milano due. Quando l'avranno disarcionato, a quel punto, il governo tecnico. E chi meglio se non il presidente dell'Antimafia?». Vero? Dietrologia? Fantapolitica? Romanzo puro? Ormai poco conta. Non ha più nessuna importanza che cosa è vero, che cosa è falso. È tutto verosimile. E l'attenzione si sposta al Senato. Alla Camera infatti Fini ha già fatto il pienone e per il momento non punta a nuove adesioni, già gli sta creando troppi problemi in Abruzzo l'ultimo arrivato: Gianpiero Catone. A Montecitorio a questo punto i numeri ci sono, ci sarebbero per formare un governo tecnico. È a Palazzo Madama che Berlusconi ha ancora i numeri e infatti è proprio lì che si sta concentrando l'attacco finale. Anche perché la maggioranza al Senato ha tenuto finora e bene, il governo è andato sotto una sola volta su un voto secondario. È per questo che lì arriverà l'attacco finale. «Qui il Pdl è più che mai compatto, aspettiamo nuove adesioni. Da dove? Magari dal gruppo misto, chissà», dice Francesco Casoli, fedelissimo di Berlusconi. Sarà, ma è proprio al Senato che il Pdl si aspetta il prossimo agguato per smontare il partito. E poi ci sono quelli in cerca d'autore. Gli ex scajoliani che sono a caccia di chi li tuteli, gli ex An tentati dai finiani, i peones berlusconiani che non riescono a parlare con nessuno, i sardi in lotta tra loro e giù a scendere le mille beghe locali a cui nessuno ha messo mano. Il capogruppo Maurizio Gasparri e il vice Gaetano Quagliariello (in verità nessuno li critica) hanno giocato d'anticipo e hanno convocato tutti ieri mattina. L'avevano già fatto la scorsa settimana e lo faranno la prossima. L'obiettivo è serrare i ranghi, far sfogare chi sguazza nel malcontento, coinvolgere tutti nelle decisioni del partito e diffondere un po' di sano ottimismo. Tanto che lo stesso Gasparri legge un sondaggio secondo il quale se si votasse oggi Berlusconi vincerebbe di nuovo sia alla Camera che al Senato. Sarà. Il primo a rompere il ghiaccio è Andrea Augello. Con toni soft chiede di riconoscere la terza gamba della maggioranza, ovvero i finiani. Solleva poi una questione procedurale sui congressi, ma diventa un pretesto per aprire un dibattito sull'organizzzazione del partito. Dopo di lui prende la parola Cesare Cursi che attacca: «Non si può fare un partito di tesserati on line altrimenti finiremo per essere tutti on line: pure i voti on line, pure gli eletti virtuali». E rimpiange i tempi della sua cara vecchia Dc «quando eletti ed elettori erano in carne ed ossa, le tessere vere». Lo corregge Carlo Vizzini: «Il sistema della Repubblica si reggeva sulle tessere, sei milioni di tessere avevano i partiti. E quel sistema è crollato lo stesso». Ma ammonisce subito dopo: «Se la situazione precipita ci sono due strade: o le elezioni o il governo istituzionale. Ed è chiaro che nessuno in realtà vuole andare a votare, soprattutto tra noi. Ma sbaglierebbe chi pensa di andare via. Perché adesso è da noi che si sono riaperti gli spazi: sono i 45 lasciati liberi dai finiani che sono andati via». Interviene qualche peones a calmare le acque. Ma serve a poco. Ci prova il ministro Maurizio Sacconi, che è anche senatore, a dettare la linea: «Il nostro avversario non è dentro la maggioranza, ma fuori. Nell'altro campo. A sinistra». E chiama a raccolta tutti. Sottolinea il paradosso: «Abbiamo una sinistra che rincorre la piazza ma la stessa piazza non la riconosce, non si sente rappresentata da questo partito». Invita a serrare le fila. Ma immediatamete dopo è Luigi Compagna a squarciare i toni ovattati: «Qui si vive al giorno per giorno, non possiamo prevedere che cosa accadrà». Arriva un'agenzia di stampa di Alfredo Biondi che annuncia: «Mi sono dimesso dalla Direzione e sto valutando insieme ad altri amici quale atteggiamento tenere nei confronti del partito». Lo segue il senatore Enrico Musso che conferma: «Convergiamo su una serie di elementi di disagio nel Pdl. Sto valutando l'ipotesi di lasciare il partito». Sbotta Sergio De Gregorio: «Mentre noi parliamo Berlusconi ha già fatto il secondo predellino: un rappresentante per ognuna delle 61mila sezioni elettorali. Se il nostro uomo contatta almeno 20 persone sono quasi un milione e mezzo di persone mobilitate. Ha già vinto le elezioni di nuovo». Non tutti vogliono rimanere con le mani in mano. Nella riunione anche Ferruccio Saro alza la voce e dopo avvia una raccolta di firme per un documento che verrà presentato stamattina alla commissione statuto del partito e chiede di organizzare il Pdl sul territorio con congressi che prevedano una più ampia partecipazione democratica. A sera i sottoscrittori sono 25 (Allegrini, Amato, Augello, Sancio, Cursi, Tofani, Saro, Massidda, Serafini, Ghigo, Ferrara, Palmizio, Fantetti, Lenna, Carrara, Orsi, Bevilacqua, Castro, Scarabosio, Colli, Coronella, Bianconi, Benedetti Valentini, De Eccher), spicca tra questi un amico intimo di Silvio Berlusconi, Romano Comincioli. Il documento però ha un punto politico fondamentale: «Molti dei nostri problemi - si legge - discendono dall'oggettivo logoramento che l'immagine del Pdl ha subito nella travagliata vicenda che ha determinato la nascita del gruppo di Futuro e libertà. Dopo mesi di violentissime polemiche, una tregua precaria, anche se non priva di promettenti risultati, non è ancora un indice certo di stabilità del governo. Bisogna approdare ad un più consistente e duraturo equilibrio ed uscire da una trattativa frammentata e dispersa su diversi tavoli, per giungere in tempi brevi ad un cronogramma condiviso da tutta la maggioranza da qui all'estate». Insomma, è ora di cambiare registro con Fini e i finiani; è l'ora di siglare un accordo complessivo su tutto. Poi sarà il momento di cambiare pelle al Pdl: «Bisogna inoltre comprendere - è scritto - la necessità di restituire smalto al partito sul territorio, inviare segnali positivi dopo mesi di lacerazioni e polemiche. La stagione congressuale deve essere preceduta e scandita da una serie di campagne capaci di ricreare fiducia ed entusiasmo intorno al Popolo delle libertà». Si vedrà.

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