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Berlusconi e il figlio indagati per evasione

Silvio Berlusconi con il figlio Piersilvio

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Il premier Berlusconi e suo figlio Piersilvio sono indagati a Roma, insieme con altri dirigenti Mediaset, per evasione fiscale e reati tributari nell'ambito di uno stralcio dell'inchiesta milanese sulla compravendita dei diritti tv e cinematografici. I due sono stati convocati in Procura il 26 ottobre. Nell'inchiesta si ipotizza il reato di frode fiscale (per circa 10 milioni di euro) in relazione ai bilanci di Rti (Reti televisive italiane, una società controllata da Mediaset al 100%), che ha sede legale nella Capitale, per gli anni 2003-2004. Gli accertamenti del pm Barbara Sargenti e dell'aggiunto Pier Filippo Laviani, responsabile del pool sui reati tributari, sono basati sulle carte inviate dai magistrati milanesi. Gli investigatori, da diverse settimane, stanno lavorando sull'incartamento e potrebbero a breve procedere con l'interrogatorio di chi è stato messo sotto accusa. A Milano, dove il premier risponde di frode fiscale, il processo è sospeso in attesa che la Corte costituzionale decida sulla validità della legge sul legittimo impedimento. La procura di Milano lo scorso aprile aveva chiesto di rinviare a giudizio per «appropriazione indebita» e per «frode fiscale» il presidente del Consiglio, accusato (sempre per la compravendita Mediaset di diritti tv) di aver concorso nel 2002-2005 a «svuotare» di 34 milioni di euro la società quotata in Borsa di cui è azionista di maggioranza, e a frodare il fisco per 8 milioni di euro. La Procura milanese aveva chiesto di processare per lo stesso reato anche il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, il presidente Rti Piersilvio Berlusconi e altre nove persone, tra le quali il produttore tv americano Farouk «Frank» Agrama. L'avvocato del premier, Niccolò Ghedini, non si scompone: le indagini di Roma hanno ipotesi di reato «identiche a quelle già prospettate dalla Procura di Milano». Dalle indagini risulterà evidente «come i prezzi dei diritti fossero congrui e acquistati da società terze e che il presidente Berlusconi e Piersilvio Berlusconi sono totalmente estranei ai fatti», e dunque si arriverà «a una pronta archiviazione». È ironico Fedele Confalonieri: «Ogni tanto siamo indagati, ci tirano in ballo, è la solita cosa». Inevitabile lo scontro politico. Il portavoce del Pdl Daniele Capezzone va giù duro: «Non esiste un solo caso nell'Occidente avanzato e nella storia delle democrazie moderne, in cui un plurivincitore delle elezioni, un leader scelto e più volte confermato da una larga maggioranza di cittadini, sia stato e sia oggetto di una così massiccia, sistematica, inesauribile serie di attacchi, inchieste, procedimenti giudiziari». Mentre è il coordinatore Pdl Sandro Bondi a liquidare l'iniziativa giudiziaria come «un'aggressione a Berlusconi» ormai oltre «ciò che può essere istituzionalmente giustificato, politicamente accettabile e umanamente sopportabile». Il capogruppo del partito alla Camera Fabrizio Cicchitto fa notare: «Fino al '94 la magistratura non si è occupata di Berlusconi mentre dal '94 in poi ha iniziato a occuparsene perché lui fa politica». E questo, ha aggiunto, «è un grande problema per la democrazia del paese». Ed è polemica per le parole con le quali il pidiellino Francesco Casoli invita «i giudici che amano stare sotto ai riflettori» a «fare molta attenzione perché il clima politico è molto pesante, e se disgraziatamente dovesse accadere qualcosa le toghe non saranno esentate dal non avere la coscienza macchiata».   Parole criticate dall'opposizione: «Al netto della loro inquietante vaghezza, la parole di Casoli sono di gravità inaudita», dice Emanuele Fiano (Pd), sottolineando che così si tende «a intimidire i giudici, a stravolgere l'equilibrio tra i poteri costituzionali e a procurare un allarme nella popolazione tanto pericoloso quanto indimostrato». Conclude il vicepresidente dei deputati del Pdl, Osvaldo Napoli, secondo cui l'apertura dell'inchiesta su Mediaset «giunge con la puntualità cronometrica degna di un Eurostar. Da oggi dovremo tutti correggere il luogo comune sulla giustizia lenta e inefficace. E aggiungere: sì, ma puntuale».

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