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Un Paese diviso alla meta

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Sonostato uno dei direttori che ha contestato il disegno di legge sulle intercettazioni presentato dal governo Berlusconi. L'ho messo nero su bianco su queste pagine e mi sono ritrovato a fianco di Ezio Mauro, direttore di Repubblica, nel sostenere che si poteva e doveva far di meglio per salvaguardare - una volta per tutte - le ragioni della difesa, degli inquirenti e del diritto di cronaca. Mi pare di esser stato chiaro e fermo in quell'occasione. E intendo mantenere questa linea anche nella vicenda che coinvolge i colleghi de Il Giornale. Questa storia incredibile fa emergere quanto cammino c'è ancora da fare per arrivare ad un dibattito civile tra diverse culture e idee politiche. Non sono tra quelli che invocano di abbassare i toni, sono appelli ipocriti, mi piacerebbe invece che si riconoscesse la dignità di esistere all'avversario, che intorno alla nobile categoria politica dell'amico/nemico ci fosse un dibattito aspro, ma ricco di idee e rispetto. Vincerà il migliore ma rendendo l'onore delle armi allo sconfitto e riconoscendo l'affermazione legittima dell'altra parte. Poi si aprirà di nuovo l'eterna lotta tra maggioranza e opposizione. Tutto questo in Italia non avviene in maniera limpida. Le ragioni sono sotto gli occhi di tutti: c'è un'immaturità di fondo del sistema politico una perversa tendenza al disfacimento e alla decadenza, al picconamento perfino delle cose buone che si sono conquistate negli ultimi sedici anni. Il bipolarismo è minacciato da progetti di riforma del sistema elettorale che riporterebbero il Paese indietro di vent'anni. Il teorema dei partiti con le mani libere e dei partitelli in grado di fare il bello e il cattivo tempo è quella sì una minaccia. Gli italiani debbono potersi recare al supermarket della politica senza il retropensiero della fregatura nello scaffale, devono poter scegliere prodotti politici che hanno una provenienza chiara e non sono frutto di arditi esperimenti transgenici. Se s'intende proseguire sulla strada della separazione con la scure dei destini delle famiglie culturali e politiche, allora il risultato sarà quello di tornare quarant'anni dopo al clima degli Anni Settanta. Ne abbiamo già avuto i primi segnali e in troppi li stanno sottovalutando. La politica è debole per sua colpa e massima incuria nell'organizzazione dei partiti, strumenti non inutili, ma più che mai necessari. Ieri come oggi. I giornali per questa ragione sono diventati i protagonisti del dibattito pubblico. E loro malgrado sono finiti nel mirino di chi pretende di applicare all'informazione i metodi della lotta politica come si è svolta in questi anni. Eliminarli a colpi di continue delegittimazioni, leggi sbagliate, sentenze abnormi, querele strumentali e indagini senza capo né coda. Grave errore che, di volta in volta, hanno compiuto tutti. Criminalizzare un quotidiano per le sue idee, opinioni e inchieste è esattamente quel che va evitato. La stampa fa il suo mestiere, scrive, fa titoloni e denuncia quel che è vero ed è degno di esser pubblicato. Ma prima che sia troppo tardi, la politica, la classe dirigente tout court e la giustizia che vuol essere giusta si tolgano l'abito nero del becchino. Se un giornalista deve cominciare a guardarsi le spalle quando cammina, vuol dire che siamo davvero all'annozero.

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