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Li chiamano dossier ma sono solo notizie

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«È la stampa bellezza, la stampa. E tu non puoi farci niente», scandiva Humphrey Bogart nei panni di Ed Hutchinson, direttore tutto d'un pezzo di The Day nel finale dell'Ultima minaccia, film di culto per un'intera generazione di aspiranti giornalisti, e innamorati in genere del Quarto potere made in Usa. Bogey era al telefono con il potente che cercava di bloccare un'inchiesta scomoda (e soffiargli il quotidiano), e, come supremo sigillo, alzava il telefono sul rumore delle rotative. Nell'Italia di oggi magari quella scena non potrebbe chiudere il film, avrebbe un seguito: un pm ravviserebbe nelle parole del direttore il reato di «concorso in violenza privata», farebbe perquisire la redazione e le case dei giornalisti. Forse dal Noe, nucleo operativo ecologico. E si aprirebbe un gran dibattito sul dossieraggio. Già, il dossieraggio. Ieri avete letto sul Tempo i dieci punti del direttore Mario Sechi che inquadrano la vicenda Il Giornale-Marcegaglia nella situazione della stampa italiana, nel mercato editoriale e nei rapporti tra informazione e politica. Attenzione: politica, non potere, giacché un aspetto non irrilevante è proprio questo. In Italia non è in discussione la libertà di stampa, nonostante la campagna a suon di post-it di Repubblica (a proposito, in questo caso non si appiccicano?). Non lo è perché qualsiasi giornale che abbia forte personalità, buone fonti e cronisti in gamba ha finora potuto scrivere liberamente ciò che voleva. Sia da sinistra sia da destra. Nessuna legge glielo impedisce: infatti il caso del Giornale è il primo divieto preventivo a pubblicare del quale abbiamo memoria. E siamo sicuri che se fosse avvenuto a danno di Repubblica, o del Fatto, o di Anno Zero, oggi avremmo le piazze piene del popolo viola, e testate e siti internet listati a lutto. Però, appunto, ora c'è la novità del dossieraggio. Un tempo esistevano i dossier, per loro natura «riservati», e spesso dimoranti in misteriosi e non meglio precisati cassetti. Quelli sì strumento di informazione occulta e sovente di ricatto. Ma un dossier destinato alla pubblicazione, con tanto di firme dei redattori e responsabilità del direttore, si può sapere che dossier è? E perché si definisce dossieraggio quella che fino a ieri era considerata una normale, e spesso benemerita, inchiesta giornalistica? O vogliamo considerare inchiesta ciò che riguarda Berlusconi e dintorni, e dossieraggio ciò che è imbarazzante per gli avversari del Cav., magari per qualche «papa straniero» adottabile dalla sinistra, ieri Gianfranco Fini, oggi Emma Marcegaglia? Del resto chi si sente vittima di ciò che i giornali pubblicano ha ampi mezzi per ribattere, smentire e difendersi, tanto più se non è precisamente un povero Cristo. Non ci vuole molto: basta che i suoi argomenti, e ancor di più i suoi fatti, siano più forti di ciò che viene stampato. Tutto qui. Con tre piccole postille. La prima: su Repubblica di ieri si può leggere il consueto teorema, titolo «La firma del Cavaliere» e definizione di «sicari» per i quelli del Giornale. Tutto è basato sull'annuncio di pubblicare le famose quattro pagine di dossier-Mercegaglia. Bene, in quelle quattro pagine ci sono articoli tratti da altre testate, tra le quali proprio Repubblica, sull'inchiesta a carico del gruppo della presidente di Confindustria per reati ambientali. Anche Repubblica è dunque tra i sicari di Berlusconi? I teoremi, come noto, richiedono di essere dimostrati: diversamente sono semplici teorie. E quando le teorie fanno fiasco, diventano boomerang.   Seconda postilla. Fino a ieri questa indagine giudiziaria era nota solo tra addetti ai lavori. Emma Marcegaglia è sempre stata giudicata come imprenditrice, per l'impegno in Confindustria e presidente degli industriali. E secondo noi era ed è un ottimo leader, che sta facendo cose coraggiose, per esempio rinnovando le relazioni sindacali. Aver deciso da parte dei suoi uffici di spostare l'attenzione sull'indagine che la riguarda non ci pare un grande risultato. Terza. Una delle regole auree del giornalismo afferma che non ci si rivolge mai all'editore perché blocchi un direttore o un redattore. Mai. Ce lo sentiamo ripetere in dibattiti e convegni, con immancabili paragoni con i sistemi anglosassoni. Ma anche qui evidentemente si predica bene e si razzola male.

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