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Il vangelo di Luca

Il direttore de Il Tempo, Mario Sechi, intervista il Governatore del Veneto Luca Zaia

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Presidente Luca Zaia, più i giorni passano più la situazione politica del centrodestra sembra irrecuperabile. Che cosa sta succedendo? «Ci sono screzi personali, invidie, calcoli fatti male a tavolino. Fini pensava che la carica di presidente della Camera gli concedesse maggiore libertà di movimento. Ma ha fatto male i calcoli. In Italia il presidente del Consiglio è decisamente più forte». Crede che la legislatura durerà fino al 2013 o il governo cadrà prima? «Io trovo disdicevole, grottesco e abominevole che questo governo che ha avuto un consenso unico possa oggi mettere in discussione la propria vita. Nella prima Repubblica questo non sarebbe mai successo. Se uno tira il freno d'emergenza in corsa facciamolo scendere». Urne in vista? «Credo sia l'unica soluzione. Dobbiamo, a questo punto, tornare alle elezioni e chiedere scusa agli italiani». Ma non è che volete votare per fare un'Opa completa sul Nord? «Noi rappresentiamo gli interessi del Nord e ora abbiamo un illustre avversario che si chiama Fini visto che il suo partito sarà incentrato sulle politiche in difesa del meridione». Zaia, lei è stato a capo dell'Agricoltura in un ministero che è nel cuore di Roma e ora è presidente del Veneto. Le manca Roma? «No, non mi manca. Di Roma ho mantenuto le relazioni personali ma ora interpreto il mio nuovo incarico: un'attività di giusta lobby che si deve fare nei confronti della propria Regione cercando di portare a casa il più possibile. Perché a Roma stiamo dando tanti soldi e allo stesso tempo vogliamo riportarcene a casa». Roma non le manca ma ci viene perché è e resta il centro della politica. Su questo però la Lega vorrebbe una redistribuzione dei poteri. «Io sono convinto che una Capitale policentrica possa esistere. È un progetto che non è secessionista, un progetto che è centrifugo e non centripeto. Le faccio un esempio: se la macchina della finanza è la borsa di Milano perché il ministero dell'Economia non deve avere sede in quel territorio»? Se questo accadesse, non crede che la Lega correrebbe il rischio di romanizzarsi? «No. Correremo il dolce rischio di nordizzare i ministeri». Ovvero? «Renderli più compatibili con le realtà territoriali. Qui ormai l'ambiente è tutto ovattato e asettico. Passi da un ministero all'altro, l'accento è sempre quello, le idee sono sempre le stesse e i giri sono sempre quelli. Magari uno che vive vicino alle partite Iva e si occupa di Sviluppo economico ha altre priorità. Questa non è una provocazione, è un dato di fatto. Lo stesso Cavour la pensava così, poi il suo datore di lavoro gli ha scombinato i piani». Non crede che il Pdl negli ultimi anni si sia dimenticato del popolo delle partite Iva? «Io penso di no anche perché il progetto di questo governo è molto interessante per le partite Iva. Non dimentichiamoci che Berlusconi si è posto come obiettivo, entro il 2013, di attuare la riforma fiscale e ciò gioverà sia alle famiglie sia al popolo delle partite Iva. Se siamo convinti che l'azienda è uno dei perni della comunità e della società dobbiamo incentivarne l'apertura». Nella Costituzione che anche Fini si è messo ad agitare ieri, si parla però di lavoro e non di impresa. «Sì. Ma anche questo è uno dei punti che vogliamo integrare quando faremo la riforma della Costituzione. Un consiglio a Fini: stia attento a non sventolare troppo la Costituzione. L'ultima volta l'ha sventolata Borrelli e non gli è andata molto bene». Giorgio Lago, bravo direttore del Gazzettino, ha coniato la parola Nordest. Che significato ha per lei quel termine? «Giorgio pensava al Nordest in visione socio-culturale. Purtroppo però dal punto di vista economico il Nordest non esiste: si tratta solo di un Veneto schiacciato da due Regioni una a statuto speciale, una autonoma, che sul mercato hanno dei vantaggi fiscali e dei finanziamenti che sono unici». Auspicherebbe una riforma macroregionale per armonizzare i territori? «La riforma da fare è quella Federale dove diamo piena interpretazione all'articolo 116 che parla dell'autonomia differenziata. Ogni Regione si porta a casa quella parte di autonomia che riesce a gestire. Le spiego: ai calabresi, per esempio, visti i conti che ci stanno presentando sulla sanità, non possiamo dare molto spazio. Al nord invece dove i bilanci li chiudiamo in attivo, potrebbero darci da gestire anche la scuola».  Il disegno federalista allora dovrebbe essere a due velocità: ci arriva prima chi è pronto? «La visione federalista, applicata anche in Europa, è questa». Non è meglio invece stabilire una corsa a tappe? «La corsa a tappe la stabilisce già la Costituzione che dà la possibilità alle Regioni di chiedere più autonomia. Ma come spesso accade le uniche a chiedere sono Lombardia, Veneto e Piemonte che presentano progetti. Le altre non mi sembra facciano molto».  Perché al Sud dovrebbero votare il federalismo? «Il capo dello Stato ha detto che il federalismo non è più una scelta ma una necessità, una giusta assunzione di responsabilità e che renderebbe molti amministratori del Sud più responsabili. Facciamo un esempio? Se gli amministratori di Napoli fossero stati più responsabili non si sarebbero trovati sommersi di spazzatura. Quei sindaci dovrebbero essere mandati a casa. Dalle mie parti succede così ma è questione di diversa mentalità. Con questo non voglio dire che la Lega ce l'ha con i meridionali. La Lega combatte il sistema che non progredisce e che costringe i cittadini di quei territori a vivere in un ambiente drogato». Ritiene che si debbano rilanciare le gabbie salariali? «Noi le chiamiamo contratti territoriali. Bisognerà arrivarci perché non è possibile che, come dice la Banca d'Italia, vivere al di sopra del Po costa il 20% in più rispetto che farlo al Sud». Lei è presidente di una Regione ricca con sistema di credito sviluppato. Attraverso le fondazioni voi siete presenti in alcuni di queste realtà. In queste ore Unicredit sta accogliendo i libici. «In generale credo che il mercato regoli il mercato e che le istituzioni devono guardarsi bene dall'entrare nel mercato e nelle aziende. Però la fondazione Cariverona che è nel consesso dei soci di Unicredit ha una presenza di espressione pubblica nominata da Provincie e Regioni. È giusto portare le nostre istanze in Unicredit. Noi crediamo nell'internazionalizzazione ma bisogna ricordarsi che c'è anche il territorio. Credo che quel 5-7% di Unicredit che vorrebbero i libici non sia poco e possa mettere a rischio la governance. Vanno fermati perché questa banca deve rispondere a una direzione nazionale. Se così non fosse ci dicano che sono disposti a "farsi scalare" e a quel punto saranno i soci a decidere. La cosa però che mi preoccupa di più è che il dottor Profumo, amministratore delegato di Unicredit e persona che stimo, dica di non saper nulla a riguardo della scalata». Lei ha usato la parola "internazionalizzazione". Come la coniuga assieme ad alcune politiche fondanti della Lega: la Cina che è un grande mercato ma anche un grande pericolo. «Noi non abbiamo paura a confrontarci con la Cina però noi diciamo ai cinesi che se vogliono venire sul nostro mercato, certifichino la loro produzione, altrimenti sei fuori mercato, anzi, butti gli italiani fuori mercato. Il problema non è l'elettrodomestico che viene dalla Cina ma è capire come è stato prodotto quell'elettrodomestico. Un cinese, ricordiamolo, è pagato 5 euro al giorno. Se qualcuno quindi vuole fare il figo e dire sì Ogm e sì alla Cina a noi non va bene» Ogm? Assieme alle quote latte è stato un cavallo di battaglia quando era ministro. Ritiene che fosse necessario, a proposito di quote, pagare le penali di quegli allevatori che erano molto vicini alla Lega? «La verità è che noi abbiamo fatto quello che altri non hanno fatto. Grazie alla mia legge 33 sul latte l'Italia non paga più 200milioni di euro di multe». E perché in consiglio dei ministri c'è un po' di maretta con l'attuale ministro Galan che dice di non essere d'accordo con questo provvedimento? «Io sto parlando della legge 33 che è di due anni fa, l'attuale procrastina solamente il pagamento della rata della multa dal 30 giugno al 31 dicembre».  Era fondamentale? «Sì. Queste aziende sono oggetto di indagine dei carabinieri e non mi risulta che questi siano iscritti alle guardie padane. Sono carabinieri e se il comandante mi dice che i conti non tornano diamo la possibilità ai cittadini di difendersi». Cosa cambierebbe della politica agricola comunitaria? «Il commissario. Una delusione. Dacian Ciolos ha avuto la grazia, essendo romeno, di diventare commissario. Ora deve tirare fuori le palle e dire che è contro l'Ogm. Noi da un commissario "latino" non possiamo vedere tentennamenti sull'etichettatura del latte. Non è possibile che in Italia un litro di latte su due è straniero e nessuno ti sa dire quale sia quello nostro e quale quello streniero. Aspetto la svolta».  Cosa ne pensa del metodo adottato da Sarkozy per arginare il problema immigrazione? «Se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Guardiamo all'Europa dell'Est: sono Paesi che sono diventati comunitari entrando dalla porta principale. Un errore perché sono passati dal lume a petrolio all'energia nucleare. Un esempio? La Romania non sa nemmeno quanti rom ha: il loro governo dice che hanno dai 500 mila ai due milioni. Uno scandalo. Non sanno nemmeno contare». Alemanno ha incontrato il ministro dell'Interno Maroni per gestire i flussi di immigrati che, dalla Francia, arriveranno a Roma e in Italia. Questo testimonia come la politica dell'immigrazione fatta da un solo Paese non funziona. Cosa volete fare in Europa? «In Europa dobbiamo riparare i danni fatti in passato. Si sarebbe dovuto per esempio stabilire una sala d'attesa per i Paesi Pec prima di entrare in Europa. Non è possibile che l'Unione Europea versi alla commisione Agricoltura ogni anno 90 milioni di euro per recuperare l'arretratezza economica di questi Paesi. La sala d'attesa purtroppo non la si può più fare; ora però adottiamo politiche più severe per esempio sul tema dei respingimenti». Maroni, grazie all'accordo con il leader libico Gheddafi, è riuscito a bloccare gli sbarchi a Lampedusa. Ora Gheddafi vuole 5 miliardi per continuare in questo impegno. Fa bene a chiederli? «Lui non sbaglia quando definisce la Libia la porta d'accesso dell'Europa per l'Africa. Ma da qui a dire che può chiedere tutto quello che vuole ne passa. È una questione di rispetto: la sua libertà finisce dove inizia la mia. E la mia inizia subito perché noi siamo padroni a casa nostra. Non può venire qui e dire che vuole islamizzarci. Lo reputo intelligente e carismatico ma non può dire certe cose soprattutto oggi che ci stiamo mobilitando per Sakineh». Andiamo a Venezia, perché Brunetta non è riuscito a diventare sindaco? «Io capisco l'amarezza di Renato, ma non sono con lui quando dice che è colpa della Lega. Guardiamo per esempio cosa è successo a Castelfranco dove era candidato un nostro parlamentare: Luciano Dussin. Anche lui ha avuto lo stesso scarto di Brunetta tra voti ottenuti alle Regionali e quelli del turno di ballottaggio però alla fine là abbiamo vinto». Cosa sarà della Lega dopo Bossi? Chi prenderà il suo posto? «Non ce lo chiediamo proprio. Per noi Bossi è immortale». Come Berlusconi? «Berlusconi ha fatto l'accordo con Don Verzé e vivrà fino a 120 anni e Umberto gli andrà dietro. Il Capo è tonico. Quando il gioco si fa duro entra in campo». Cosa ha scritto sullo statuto del Veneto che farà arrabbiare i parrucconi? «Bé, intanto devo ringraziare Napolitano per l'estrema delicatezza con cui l'ha commentato. Tutto ruota attorno allo slogan "Prima il Veneto e i veneti". E mi riferisco sia ai veneti da generazioni sia all'immigrato che si è fatto una famiglia e si è integrato. Questa è la comunità veneta. Se poi arriva uno, che sia immigrato o milanese, che viene e fa "mordi e fuggi" io non faccio nessun investimento per la mia terra». Così però si rischia di creare una comunità chiusa. «Non è vero. È aperta perché dà servizi a chi vuol far parte della nostra comunità. Io investo su chi dà benefici». Secondo lei il Lazio adotterà questo modello? «Sì. Renata Polverini ha detto che verrà in Veneto per studiarlo». Il mio primo titolo a Il Tempo è stato contro di lei sulle Olimpiadi del 2020, poi lei ha attaccato Roma per il Gran premio... ma non è che lei ce l'ha con la Capitale? «No, io ce l'ho anche con la Calabria, Campania, Sicilia e tutti quelli che sprecano». Le piace questo festival del Cinema di Venezia? «È il numero uno. Facciamo effetti speciali. Io penso che la scelta di Roma con tutto l'affetto che posso avere per Renata e con tutta la stima che ho per Gianni Alemanno, è la dimostrazione di un Paese spaccato. Mai Parigi penserebbe di fare un festival alternativo a Cannes. Noi siamo l'unico Paese che riesce a spaccarsi anche su queste cose». Era veramente convinto di poter candidare Venezia alle Olimpiadi del 2020? «Io mi domando come si poteva pensare di candidare Roma». Se Roma però la spuntasse crede che Venezia potrebbe concorrere alla realizzazione di una delle manifestazioni? «Io auguro a Roma di vincere e al tempo stesso continuo a proporre di portare i giochi acquatici a Venezia. Il problema però è che i romani hanno fatto tutto da soli senza chiedere la collaborazione di nessuno».

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