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In cucina c'è puzza di bruciato

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Gianfranco Fini ed Elisabetta Tulliani al mare

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Cari lettori, osservate bene la prima pagina che avete in mano. Aprite e chiudete gli occhi un paio di volte. Sì, è tutto vero. Quel che leggete sta accadendo. Non è il notiziario surreale di un giornale di buontemponi che hanno alzato il gomito, ma la cronaca politica del nostro Paese, l'Italia. La terza carica dello Stato nei guai per un cognato in affitto in un appartamento a Montecarlo che era di An, ora ha un problema in più: i fornelli che secondo quanto racconta un'inchiesta de Il Giornale sarebbero stati acquistati da Fini ed Elisabetta Tulliani per arredare la maison monegasca. Dopo gli immobili, arrivano i mobili.   Il presidente della Camera ha risposto con il solito metodo spiccio: querelando. Ma ancora una volta la sua risposta più che chiarire apre dubbi. Francamente trovo la linea seguita da Fini in questa vicenda incomprensibile e lontana dal comportamento che ci si attende da una persona che ha tutto l'interesse a chiarire la sua posizione in questa vicenda. Avevo già scritto giorni fa che le otto risposte fornite sulla casa di Montecarlo erano deboli, insufficienti, piene di vuoti e incongruenze al punto da diventare un boomerang. Sono stato facile profeta e, in assenza di una risposta efficace e definitiva, nella cucina di casa Fini c'è puzza di bruciato. Sono troppi infatti i "buchi neri" di questa storia. Se Repubblica arriva a pretendere in un editoriale un chiarimento netto al cognato, Giancarlo Tulliani, sui giri immobiliari nel Principato, fino a mettere nero su bianco il sospetto che dietro le società off-shore che hanno intermediato l'appartamento ci sia in realtà la sua manina, allora le cose sono più che nebulose: è buio pesto. Bisognerebbe fare un po' di luce. E magari non sperare nel passo falso dell'inchiesta, nell'imprevisto o nell'incauto aiuto istituzionale che può attutire, ma non soffocare una storia che - in tutti i suoi aspetti - con forza occupa le prime pagine di tutti i giornali. Mi sono opposto alla legge sulle intercettazioni proposta dal governo, l'ho criticata, ho consigliato un provvedimento più equilibrato, serio e ragionato. Il mio mestiere è pubblicare notizie e cerco di farlo nel miglior modo possibile. Trovo singolare che da parte del Capo dello Stato - che ha sempre dimostrato attenzione alla libertà di stampa - arrivi un invito a cessare "una campagna gravemente destabilizzante" nei confronti del Presidente della Camera. Non ho memoria di una simile presa di posizione quando Repubblica ha attaccato in lungo e in largo - facendo il suo mestiere e rispondendo alla sua missione editoriale - il presidente del Consiglio, quarta carica dello Stato. Il professor Francesco Perfetti analizza da par suo sul nostro giornale l'irritualità di questa esternazione, come direttore de Il Tempo e primo cronista di questo giornale, mi preme però dire a chiare lettere che la stampa ha una funzione insostituibile che non può essere riconosciuta a intermittenza, magari quando fa comodo. Non esistono due bavagli e due misure, ma una stampa che fa il suo mestiere a destra e a sinistra e risponde non a chissà quale Spectre ma solo al mercato dei lettori (che comprano o no il giornale) e alla tradizione culturale del prodotto. I comportamenti politici sono doverosamente analizzati da tutta la stampa libera e le cronache degli altri Paesi sono ricchissime di storie simili a quella che si sta dipanando in questi giorni nel nostro Paese. In Francia il presidente Sarkozy è finito nel mirino dei giornali per i finanziamenti illeciti al suo partito, le vacanze della moglie di Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, sono state osservate al microscopio e le spese contabilizzate con minuzia. «È la stampa bellezza e tu non puoi farci niente», frase celebre del film poliziesco «L'ultima minaccia» interpretato da Humphrey Bogart.   Siamo di fronte a uno scontro durissimo, a tratti brutale, non ci sono dubbi che le istituzioni ne escano malconce, ma il conflitto non si placa se i giornali non scrivono. Anzi, il fatto che tutti i quotidiani se ne occupino è una sorta di garanzia, perché un minimo di polifonia sulla vicenda è assicurato. O si preferisce una campagna monocorde, con una sola verità? Il silenzio non serve, la pluralità di fatti e opinioni consente invece al cittadino di farsi un'idea e trarre le proprie oneste conclusioni su una vicenda piuttosto intricata. Io non so che cosa stia pensando Gianfranco Fini in queste ore, ma se vuole uscire a testa alta da questa vicenda, è il caso che affronti le domande dei giornali in una conferenza stampa e dia risposte plausibili sulla casa a Montecarlo e i suoi rapporti con Giancarlo Tulliani. Fini ha un dovere in più perché non è un semplice parlamentare, è la terza carica dello Stato, è il garante del Parlamento. Ultima nota: dov'è finito Giancarlo Tulliani? Se non per tatto istituzionale, forse almeno per un minimo vincolo parentale con Fini dovrebbe farsi vivo e raccontare la sua versione della storia. Il silenzio, in questo caso non è d'oro, ma nero come il carbone. È sporco.  

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