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A destra de che? In libreria il manifesto di Futuro e Libertà

Gianfranco Fini e la compagna Elisabetta Tulliani

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Loro lo chiamano «strappo», altri preferiscono la parola rottura, fatto sta che ai fedelissimi di Fini la separazione da Berlusconi non solo piace, ma l'hanno sempre considerata un fatto inevitabile. Arriva in libreria fresco fresco di stampa «In alto destra - Attorno a Fini: tre anni di idee che sconvolgono la politica», antologia di scritti a cura di Giuliano Compagno, giovane intellettuale e filosofo di una politica dura e pura. Nel libro una serie di interventi apparsi come articoli per lo più su «Il Secolo d'Italia», ma anche sotto altre testate. Tra gli autori Umberto Croppi, Flavia Perina, direttore del Secolo e deputato, i giornalisti Alessandro Campi e Luciano Lanna e tanti altri. Gli articoli sono raggruppati in capitoli, ma ognuno sostanzialmente è una storia a se. Un libro indigesto come un'impepata di cozze: 280 e più pagine di riflessioni e teorie politiche, ma assolutamente illuminante per capire perché Gianfranco Fini, ai vertici del primo partito italiano, ha deciso di sfasciare tutto, ottenendo, in cambio, un «gruppetto», come Futuro e Libertà per l'Italia, che, al momento, ha un terzo dei deputati della cara, buona, vecchia Alleanza Nazionale. Già molto si intuisce dall'introduzione di Compagno che, sentendosi investito del titolo nobiliare di «intellettuale di destra» si domanda: «A destra de che?», proprio così, alla romana. Sì perché a chi mangia pane e politica accanto a Gianfranco Fini la giacchetta doppiopetto della destra buona comincia a stare stretta e corta. Particolarmente efficaci e chiarificatori alcuni interventi, come quello del raffinato saggista e appassionato politico Umberto Croppi: «...le città italiane sono sempre più caricature di città. Quelle che hanno una propria forte identità hanno il loro segno distintivo in un ricordo, sono un residuo del passato, hanno (definitivamente?) smesso di pensarsi...». Chiarissime le parole del giornalista e scrittore Filippo Rossi: «La rivoluzione è a sinistra, la reazione è a destra; il futuro a sinistra, il passato a destra; l'arte e la cultura a sinistra; l'ignoranza a destra. Una serie di luoghi comuni da far venire i brividi ai neuroni di un bambino ma che purtroppo ancora sopravvivono...». Insomma l'Italia va allo sfascio, nessuno ha idee nuove e in Parlamento si discute di forma e non di sostanza. Nel libro si afferma con forza di combattere per un Paese libero nel quale i giovani possano costruirsi un futuro sereno e i meno giovani godersi in pace la pensione. E vaffa i conti dello Stato, il rigore, la manovra finanziaria e pure il federalismo. Tutta roba importante, ma che non conta nulla se non galleggia in un mare di libertà, eguaglianza e fraternità. I nuovi sanculotti di Fini sono per una politica vicino alla gente e questa non è destra, affermano, ma solo buon senso. O almeno così credono loro. Sì perché la politica qualche volta tutto è meno che buon senso: è sacrificio, mediazione, condivisione e capacità di inghiottire rospi e anche belli grossi. Come fa Berlusconi. Se no le idee nobili restano tali. Insomma nel libro di Compagno e co. sono enunciati idee e principi sacrosanti: ci sono Voltaire, Rousseau e anche un pizzico di Robespierre. Ma non c'è quasi nulla su come metterli in pratica. Tra Gianfranco Fini ideologo e idealista, che guarda «In alto a destra» e Silvio Berlusconi, il presidente-operaio e i rispettivi seguaci c'è la stessa differenza che c'è tra Giulio Verne e Wernher Von Braun. Verne è famosissimo, ammirato e lodato da tutti. E ha sognato e scritto degli uomini sulla Luna. Sognato e scritto. Von Braun se lo ricordano in pochi e chi lo ricorda lo fa per criticarlo. Ma ha portato tre uomini sulla Luna. Davvero. Berlusconi e Fini vogliono tutti e due un'Italia giusta, efficiente e moderna. Riuscire a raggiungere questo obbiettivo, forse, è più difficile che andare sulla Luna.

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