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Un desiderio e la realtà delle elezioni

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Il direttore Mario Sechi, in una pagina che potete gustarvi all'interno, fa barba e capelli, con l'arma sempre efficace del sarcasmo, ai tanti avventori che da mesi si esercitano a disegnare governi per sostituire quello in carica. È giusto ricorrere all'ironia nel momento in cui gli avventori hanno alzato la voce ritenendo più a portata di mano una crisi, magari dopo la pausa estiva, a causa della rottura intervenuta fra il presidente del Consiglio e l'ormai ex co-fondatore del Pdl Gianfranco Fini. Che ha deciso di dividere il suo tempo in questi giorni tra le incombenze del presidente della Camera e quelle tipiche di un capocorrente o di un capopartito. Attorno a lui si è infatti già costituito un nuovo gruppo a Montecitorio, al quale si presume tuttavia che egli non si iscriverà per onorare il suo ruolo istituzionale e se ne sta costruendo un altro al Senato, fatti di uomini e donne che non hanno però deciso di abbandonare il partito dai cui gruppi parlamentari sono usciti. Siamo insomma di fronte a qualcosa, con tanto di nome, al quale qualcuno sta forse pensando di aggiungere anche un simbolo, che è più di una corrente e meno di un partito, almeno per ora. Ma oltre a rimanere nel Pdl, gli amici di Fini con il suo autorevole e ragionato consenso hanno anche deciso di rimanere nel governo, dove evidentemente si trovano a loro perfetto agio, per cui non si capisce, sinceramente, la fretta con la quale dall'opposizione si reclamano i riti propedeutici all'apertura formale di una crisi. E si pensa magari di allungare la già nutrita lista dei governi immaginari. Alla quale, visto che mi trovo, e nella speranza di non incorrere anch'io nell'ironia abrasiva del direttore Sechi, mi viene la voglia di aggiungerne un altro: il Governo Costituente.   Un governo cioè che, proposto dallo stesso presidente del Consiglio in carica in virtù di una incontestabile vittoria elettorale, si ponga come obbiettivo principale di proporre al Parlamento e di sostenere un'ampia riforma costituzionale. Vi dovrebbero partecipare tutti quei partiti, o movimenti, o gruppi, o come altro vogliono chiamarsi, consapevoli della necessità di cambiare finalmente le regole del gioco istituzionale, visto che nessun governo o maggioranza, a destra o a sinistra, riesce a campare in pace con quelle in vigore dal 1948. Che peraltro sono state peggiorate all'inizio degli anni Novanta con qualche modifica che permette alla magistratura di dettare l'agenda politica del Paese più degli elettori, dei partiti e dello stesso Parlamento. Per tentare e realizzare un governo del genere occorrono naturalmente saggezza, responsabilità e coraggio da parte di tutti, in una combinazione che, anche di fronte alle reazioni seguite alla rottura fra Silvio Berlusconi e Fini, sono il primo a riconoscere poco o per niente realistica in questo povero Paese. E in questa interminabile fase di transizione cominciata con la liquidazione giudiziaria della prima Repubblica. Di realistico rimane allora solo uno scenario fatto di due strade: o la prosecuzione di questo governo, se Berlusconi riuscirà nel suo ottimistico proposito di metterlo al riparo dalle complicazioni della rottura con Fini, e magari anche di rafforzarlo con qualcuno che oggi dall'opposizione gli dice no, o il ricorso alle elezioni anticipate, per quanti rischi esso possa comportare sul versante delicatissimo dell'economia. E per quanti timori si possano avere che, fatte le elezioni, le attuali regole del gioco riproporranno gli stessi problemi.

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