Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Ora rischia il simbolo del Pdl

Il premier Silvio Berlusconi

  • a
  • a
  • a

  È un po' come quando il proprietario del pallone, offeso, prende e se ne va costringendo gli altri ad interrompere la partita. Berlusconi potrebbe farlo domattina. Potrebbe prendere il simbolo del Pdl e lasciare tutti in braghe di tela. Peccato che poi avrebbe bisogno dell'autorizzazione di Gianfranco Fini per utilizzarlo. No, non è uno scherzo. Ma il frutto di un atto notarile (ripescato da Vanity Fair) siglato il 27 febbraio del 2008. Quello con cui dieci persone hanno dato vita all'associazione "Il Popolo della Libertà". A ripercorrere l'intera vicenda è Paolo Becchetti, notaio di Civitavecchia con due legislature alle spalle nelle file di Forza Italia. Anzitutto la proprietà del simbolo. «Quando decidemmo di depositarlo - racconta - scoprimmo che un imprenditore casertano di nome Michelangelo Madonna, candidandosi alla comunali nella sua città, lo aveva già utilizzato e registrato. Lo chiamammo e fu felice, per militanza politica, di cederlo gratuitamente al presidente Berlusconi che ne è dunque l'unico e legittimo proprietario. Mi occupai io dell'atto notarile». E fu sempre lui, il 27 febbraio 2008 ad occuparsi dell'atto costitutivo dell'associazione. «Fu il frutto - prosegue - di una lunga serie di incontri cui parteciparono Niccolò Ghedini, per Forza Italia, e Antonino Caruso per An. Se non ci fosse stata la fretta di far nascere il Pdl prima delle elezioni del 2008 forse avremmo potuto fare qualcosa di meglio. Tra l'altro Caruso è un avvocato civilista d'impresa, Ghedini un penalista. Nessuno dei due sapeva molto della materia. Se mi avessero ascoltato di più io, da notaio, avrei fatto qualche piccola correzione». Fatto sta che, dopo una settimana di trattative, il documento è pronto. In via del Plebiscito si ritrovano Becchetti, Caruso, Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Rocco Crimi (al tempo legale rappresentante di FI), Denis Verdini, Sestino Giacomoni, Valentino Valentini, Sandro Bondi, Rita Marino (storica segretaria di Fini) e Marinella Brambilla (storica segretaria del Cav). Quel documento è, sotto diversi aspetti, ciò che impedisce oggi al premier di cacciare Gianfranco. Il primo ostacolo è il procedimento formale di espulsione. «Lo statuto che accompagna l'atto - racconta Becchetti - non prevede né il recesso, né l'esclusione. Si parla vagamente della possibilità di estromettere qualcuno per "il mancato rispetto dei doveri fra gli Associati", ma in ogni caso la decisione deve essere presa da otto membri su dieci del Consiglio direttivo». «Al congresso di marzo 2009 - continua Becchetti - è stato approvato un nuovo statuto che potremmo definire un "regolamento" nel senso che fissa la disciplina organizzati del partito. Quindi possiamo dire che, in base all'atto costitutivo, nessuno può cacciare nessuno. Ma quell'atto riguarda Fini e non Granata che, al contrario, risponde alle regole fissate nel congresso e quindi può essere giudicato dai probiviri». A dire il vero, seguendo la regola degli 8 su 10, Berlusconi avrebbe anche i numeri per cacciare Fini, ma qui torna in gioco il simbolo. Già, perché nello stesso atto, si stabilisce che «in caso di scioglimento dell'Associazione (che, salvo una decisione unanime di tutti gli associati, dura fino al 31 luglio 2014 ndr) il simbolo non potrà essere oggetto di uso da parte degli odierni associati, o di alcuni di essi, se non con il comune espresso accordo scritto di tutti». Ergo, il Cavaliere può revocare la concessione, ma senza il placet di Gianfranco, non lo può più utilizzare. C'è poi un passaggio ulteriore. Quando, nel 2008, il Pdl si presentò alle elezioni, non aveva mezzi per affrontarle. «Per questo - spiega Becchetti - si fece un "contratto" tra Pdl da un lato, Forza Italia e An dall'altro. I due partiti si impegnavano a dare strutture per la campagna elettorale, la neoformazione si impegnava a pagare questo servizio con i soldi dei rimborsi elettorali. Quindi, fino a quando non sono stati incassati totalmente, nessuno se ne andrà». Insomma, Fini e Berlusconi sono praticamente obbligati a rimanere nella stessa barca. Ed è qui che Becchetti abbandona il ruolo di notaio per dare qualche consiglio: «Spesso c'è chi interpreta un ruolo in maniera così fortemente super partes, da diventare ultra partem. Credo che Fini sia in buona fede, ma non si può perdere l'occasione storica di cambiare il Paese. Per questo credo che lui e il premier debbano sedersi a un tavolino e vedere cosa possono fare insieme. A Berlusconi rivolgo invece l'invito di recuperare lo spirito del '94 e anche alcune delle persone che furono protagoniste di quella stagione. Deve ricostruire una squadra forte. Anche perché con questa legge elettorale sono entrate in Parlamento tantissime persone che non sanno né leggere, né scrivere. Dal punto di vista politico, si intende».

Dai blog