Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Calcio in Borsa, luci e ombre

Proteste del popolo giallo rosso di fronte la sede della Banca Unicredit. (Foto Gmt)

  • a
  • a
  • a

Salvo sorprese oggi pomeriggio si alzerà finalmente il sipario sul nuovo "impero dei Sensi": che comunque vada vedrà assai ridotti i propri confini. In base agli ultimi rumors, o meglio ad una versione di questi, la famiglia cederebbe ad Unicredit il 51 per cento del gruppo Italpetroli; la banca milanese, che ne possiede già il 49% e vanta crediti per 325 milioni (altri 80 sono con il Monte dei Paschi), incasserebbe un patrimonio industriale cospicuo, tanto più in prospettiva.   Quanto alla Roma, verrebbe creata una «newco», una società che marcherebbe la discontinuità, e nella quale i Sensi avrebbero il 51 per cento, Rosella manterrebbe la guida operativa, mentre Unicredit sarebbe socio per il 49. Con l'intento, dichiarato dall'ad di Unicredit, Alessandro Profumo, di «valorizzare al massimo il brand, la sua storia e le sue potenzialità sportive». Ma siamo ancora alle congetture. E difatti ecco il secondo scenario. Non più una, ma due «newco»: la prima riguarderebbe gli asset immobiliari di Italpetroli, che resterebbero ai Sensi, l'altra quelli industriali, che andrebbero ad Unicredit. E la Roma? Resterebbe sotto il controllo della famiglia. Nell'attesa che si faccia avanti qualche acquirente. In tutto ciò ci sono parecchi aspetti che non tornano o lasciano perplessi. Se vale l'ipotesi numero uno, bisogna ricordare che la Roma è quotata in borsa e l'Italpetroli ne detiene (attraverso Roma 2000 e altre società del gruppo) il 64,34 per cento, mentre il 2,5 è in mano alla Tikal Plaza di Danilo Coppola e il 2,75 è controllato da Montepaschi. Il restante 30,4 è flottante, esposto a tutti i rumors e le speculazioni. Ipotizzare per la società – che per inciso capitalizza 129 milioni, un terzo dei debiti – una suddivisione 51-49 per cento significa in pratica la cancellazione dal listino. Ma anche se la torta venisse divisa solo all'interno del 67 per cento finora di Italpetroli, vuol dire egualmente cambiare radicalmente la struttura azionaria di un titolo presente a piazza Affari, nonché il passaggio di mano della capogruppo. La Consob non ha nulla da dire? Certo, ha richiesto un'informativa: ma perché non sospendere temporaneamente il titolo, come sarebbe obbligo in questi casi? In fondo non si tratta dell'Eni o della Fiat, la borsa non crollerebbe. La riprova di quanto stiamo dicendo è che tra metà maggio e metà giugno scorsi le azioni della Roma hanno prima guadagnato poi perso nel giro di qualche seduta oltre il 30 per cento; e se qualcuno si è scottato le mani qualcun altro se le starà ancora fregando. Lo stesso andamento c'era stato gli anni scorsi, quando comparivano e scomparivano cordate per tutti i gusti, dal finanziere George Soros agli sceicchi arabi, ai magnati russi fino al farmaceutico Angelini, unica ipotesi con qualche attendibilità. Naturalmente le voci non cessano neppure per il futuro, comunque vada con Unicredit. Pronto a scendere in pista sarebbe un altro nome quello della famiglia Angelucci: un evergreen. Nel frattempo i politici dicono la loro. Su tutti, la Lega. Che quando era di lotta tuonava contro le lottizzazioni, ed ora che è di governo si ingegna a dettare la linea alle banche considerate «del territorio» (cioè lottizzabili). In questo caso l'Unicredit, reo secondo il governatore veneto Luca Zaia di «regalare soldi alla Roma invece di occuparsi del Nord-Est». A parte il fatto che i debiti – che come ha ricordato il sindaco Gianni Alemanno sono stati ereditati da Capitalia – vengono in questo caso recuperati a vantaggio degli azionisti, ci si può chiedere: perché il Carroccio insiste nell'imitare i riti peggiori della vecchia politica? Lasciando ai Sensi l'onere di pagare i debiti, e a Profumo il diritto di incassarli, è infine il caso di ricordare alcune altre cose cose, al di là degli aspetti finanziari, e farle presenti alle autorità competenti, Federcalcio e Lega in primis, in questi giorni prodighe di promesse sul rinnovamento del calcio italiano dopo il ko ai Mondiali. Per esempio che lo stallo societario ha bloccato sia la campagna abbonamenti sia la distribuzione delle «tessere del tifoso»: ne erano state richieste 15.000, non si capisce che fine faranno. Ci risulta, almeno stando ai proclami, che riportare la gente negli stadi e selezionare i tifosi «buoni» siano delle priorità: oppure no? Ancora: il reclutamento degli steward, che come ha appunto detto la Federazione dovranno essere meglio addestrati, professionalizzati, il perno della sicurezza negli stadi. Anche qui abbiamo scherzato? Infine il parco calciatori, che in base ad una legge bizzarra, firmata da Walter Veltroni, costituiscono da noi – in luogo di stadi di proprietà o altri beni non aleatori - il capitale delle società di calcio «a scopo di lucro» (sic). Anche qui, mercato fermo, contratti bloccati, futuro giovanile incerto. Certo, non stiamo parlando dei tagli alla sanità. Però ogni cosa va inquadrata per ciò che è. Il calcio muove rilevanti interessi economici, e ancora di più sociali. La Roma è la seconda squadra italiana (dietro alla plurimiliardaria Inter, con un unico italiano part time nella rosa titolare, Balotelli, che sta per andarsene all'estero: Zaia può tenerlo a mente), il prossimo anno ci rappresenterà in Champions. E forse con Francesco Totti al posto di un Pepe o uno Iaquinta ci avrebbe fatto fare miglior figura in Sudafrica.  

Dai blog