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Quelle critiche ignoranti su San Giorgio l'orientale

San Giorgio con la kefiah. Polemiche per il drappellone del Palio di Siena dipinto daun pittore libanese

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Se vuole sul serio uscire dalla crisi attuale, che si guarda bene dall'essere soltanto economico-finanziaria, la società civile italiana deve anzitutto re-imparare due cose molto urgenti: la capacità d'informarsi correttamente e il rispetto, magari accompagnato da un po' meno d'arroganza (e d'ignoranza) e da un po' più d'onestà. Cominciamo da quest'ultima. Se qualcuno trova da ridire sul fatto che il «drappellone» per il Palio di Provenzano (2 luglio), a Siena, quest'anno, sia stato dipinto da uno straniero, e per giunta (orrore!) musulmano, si tranquillizzi: e impari a non impicciarsi di cose che non è all'altezza di giudicare e che non lo riguardano. Per i senesi, quando si tratta del Palio, se non siamo nati «nelle lastre», cioè nella cinta cittadina, siamo tutti stranieri. Lo sono quasi del tutto anch'io, che ho l'aggravante di essere fiorentino: ma sono senese da parte di nonna paterna, appartengo alla nobile e sovrana Contrada dell'Oca e pago le mie quote alla «società» (anche se sono moroso da qualche anno: ma prometto di rimettermi in regola). La mia Contrada è la più celebre, la più gloriosa e la più manesca: gli avversari, invidiosi, la chiamano «l'Infamona»; è quella di santa Caterina, di Gianna Nannini e di personaggi come «il Prete Bani» (i senesi mi capiranno). Quando mi chiedono quale sia la mia patria, dopo l'Europa e la Toscana penso al mio «Papero» (Si sa che 'un lo volete, ma per forza o per amore vu' l'avete a rispettà). Il pittore del Palio, cari stranieri che sparate sentenze a vànvera, lo scelgono i senesi: poi ci discutono e ci litigano sopra, e quando viene presentato non piace mai, però lo vogliono lo stesso («Dàccelo! Dàccelo!»). Che qualche senese abbia trovato a ridire sul fatto che quel san Giorgio effigiato sul Drappellone di stavolta desse un po' sul saraceno, può anche darsi: ma son fatti senesi. E a Siena i saraceni sono di casa: i cavalli sono «bàrberi», cioè cavalli arabi della Barberia, il Maghreb: e chi li cura è il «barbaresco», abbigliato alla saracena. Quindi restan fatti senesi. Ma c'è di più. Il pittore, il libanese e musulmano sciita Ali Assoun, è uno che ama Siena, dove esiste una colonia musulmana tra le più integrate d'Italia, imam della quale è un medico palestinese (e cittadino israeliano) molto stimato. L'acconciatura bianco-nera (i colori della gloriosa Balzana senese) che il san Giorgio di Assoun porta attorno alla testa è una variabile un po' fantasiosa, più che di un «turbante», di un keffyyeh, il grande fazzoletto quadrato che nel Vicino Oriente portano tutti, piegato in due in modo da assumere una forma triangolare e fermato da un cordone, l'iqal. E allora? È un copricapo semplice e pratico, che oggi secondo alcuni è divenuto un emblema palestinese, ma non è mai stato tale: lo portavano abitualmente fino a pochi anni or sono i musulmani, i cristiani e anche molti ebrei, specie i vecchi coloni sionisti nati in Israele, i sabra. Lo portavano probabilmente i profeti, lo portava Gesù; lo portava il più grande santo e Padre della Chiesa orientale, san Giovanni Damasceno, cristianissimo e agguerrito polemista anti-islamico (e nessuno si sognava di disturbarlo per questo), ma anche funzionario del califfo di Damasco nel VII secolo. C'è di più, cari miei. San Giorgio, «santo guerriero» tra i più venerati sia in Oriente sia in Occidente (dove con l'arcangelo Michele fu il protettore per eccellenza dei crociati), ha certo una patente di autenticità storica molto debole e dubbia: al punto che ogni tanto qualche agiologo in vena di rigore filologico propone di espungerlo dal calendario. Per fortuna, la tradizione e la devozione popolare sono più forti. E siccome, per il mestiere che faccio, di santi un po' me ne intendo anch'io, sentite che cosa vi dico da cattolico. San Giorgio, probabilmente, non è mai esistito: la sua storia la conosciamo, ed è identica al mito di Perseo. La sua leggenda è nata comunque, probabilmente, tra Caucaso e litorale libanese (il suo santuario più importante era l'antica Lydda, dove ora sorge l'aeroporto di Lod). Un libanese come Assoun è pertanto il più adatto a riprendere, oggi, quella tradizione iconica che da noi porta i nomi gloriosi del Pisanello, del Carpaccio e di Raffaello: per lui, quella di san Giorgio - il protettore di tutti coloro che lottano per il trionfo del Bene contro il Male - è storia patria. Anche se san Giorgio non è mai esistito, la sua leggenda è una delle più qualificanti nella tradizione cristiana: è la leggenda del coraggio, dell'altruismo, della capacità di combattere e di sacrificarsi per i deboli; soprattutto, della costanza con la quale ciascuno di noi deve lottare dentro di sé per far trionfare il Bene contro il Male, perché di entrambi siamo tutti portatori. Questa, in termini cristiani, si chiama «psicomachia»: Islam ed ebraismo non insegnano nulla di diverso. Fra l'altro, la figura di san Giorgio è molto venerata appunto nel mondo musulmano, come quella di Gesù, di Maria e di altri santi cristiani. In una delle sure coraniche teologicamente più densa, la Sura XVIII al Kahf ("La Caverna"), vv.18, 65-82, c'imbattiamo in un venerabile e misterioso personaggio, che Dio chiama «uno dei nostri servi, cui insegnammo la sapienza». Si tratta di al-Kidhr, («il Verde», oppure «il Verdeggiante»), che la maggior parte degli esegeti coranici identificano nel profeta Elia, ma che per molti è invece appunto san Giorgio. Ali Assoun non è soltanto un eccellente ed affermato artista. È anche un fermo e benemerito sostenitore del dialogo tra le fedi sorelle. Tra le sue opere migliori figura una Menorah, un «candelabro a sette braccia» eseguito per una sinagoga; e chi lo conosce ne avrà riconosciuto le sembianze anni fa, accanto a papa Giovanni Paolo II, durante una preghiera interreligiosa. Al Palio, festa di uomini liberi, nessuno ha mai chiesto la fede religiosa o l'idea politica di chi dipingeva il Drappellone: è sufficiente che abbia cognizione di causa di quel che sta facendo, che ami Siena e la libertà. L'opera di Ali Assoun onora la Città della Vergine. A chi ne dice male, auguriamo la fine dei maledetti guelfi a Montaperti.  

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