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La Capitale si ispiri al 1960

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Olimpiadi

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Il Tempo è stato in prima linea nel sostenere Roma per le Olimpiadi 2020, nel festeggiare la scelta del Coni e nell'inquadrare l'appoggio leghista a Venezia come esempio di una “padanità” molto vetero che non giova né al Paese né alla Lega stessa. Un errore politico del quale i dirigenti del Carroccio sembrano già consapevoli. Detto questo, ora sta però a Roma dimostrare di meritarsi le Olimpiadi. Non solo quando, fra tre anni, verrà messa a confronto con le rivali straniere, ma evitando fin da subito di ripetere alcuni clamorosi inciampi (o peggio) del passato. Proviamo senza presunzione ad elencare un promemoria. 1) Ad eccezione dei paesi in cui le variabili economiche sono ancora un optional, come la Cina, le Olimpiadi si giocano ormai sulla sostenibilità. Non solo quella ambientale, che pure è preziosa, ma quella finanziaria. La spesa non deve dunque gravare sui contribuenti, né di Milano o Palermo, né romani. La Capitale ed il Lazio sono già oberati di debiti per oltre 20 miliardi: non sono in grado di chiedere favori allo Stato o di tirar fuori soldi di tasca loro. 2)Sotto questo aspetto l'esempio di Atene deve servire da monito per tutti: la capitale greca rinnovò nel 2004 il metrò, l'aeroporto e il porto del Pireo, facendo anche un bel lifting al centro storico. A quale prezzo lo vediamo e lo paghiamo, tutti quanti, oggi. 3)Altri esempi da non imitare, proprio in casa nostra, sono i Mondiali del '90 ed i Mondiali di nuoto 2009. Le stazioni della metropolitana aperte per due giorni, il terminal dell'Ostiense, i parcheggi non realizzati; e poi i costosissimi ed irrealizzati progetti di Santiago Calatrava per Tor Vergata e le più caserecce piscine fuori norma dei vari circoli sportivi, con relativo contorno di scandali che tuttora ci deliziano: tutte tristezze ed orrori dai quali tenersi alla larga come dalla peste. 4)Il budget deve dunque essere rigoroso, senza sforamenti. Il coinvolgimento dei privati esteso al massimo, sia in termini di sponsorizzazione, sia di concessione, sia di appalti. In questo momento, e per molti anni ancora, è la domanda che fa il prezzo. A condizione ovviamente che non ci si riduca agli ultimi mesi. 5)Anche per questo vanno realizzate opere durevoli, e quindi annoverabili tra i progetti di interesse pubblico. Sul villaggio olimpico previsto a Tor di Quinto si stabilisca con esattezza che cosa deve diventare: possibilmente un insediamento residenziale che bonifichi e valorizzi un'area oggi degradata ma inserita in un contesto di grande pregio, a ridosso del Tevere e lungo la direttrice Nord. Basta che non sia usa e getta, o un'altra cattedrale nel deserto qual è purtoppo oggi la Nuova Fiera. 6)Abbiamo un formidabile esempio al quale ispirarci: le Olimpiadi del 1960. Gli impianti e le infrastrutture urbanistiche di allora reggono ancora oggi; e sono quelle che, assieme alle realizzazioni del ventennio fascista, hanno dato a Roma un volto moderno e razionale. Dalla via Olimpica (certo, ampliata) fino, appunto, al villaggio voluto all'epoca da Amintore Fanfani come coronamento del suo modello di edilizia popolare di buona qualità. 7)A proposito del villaggio di allora progettato da architetti come Moretti e Libera e scavalcato dal viadotto di Pier Luigi Nervi, dopo sessant'anni di onorata carriera questa sarebbe forse l'occasione di valorizzare quella bellissima area tra i Parioli, Prati e Vigna Clara, servita da buoni collegamenti e con dentro l'Auditorium ed il Maxxi. Anni fa nella giunta veltroniana ci fu chi propose di conservarne una memoria destinando la gran parte ad un rifacimento totale, destinato ad edilizia residenziale di alto livello. Un po' come il Watergate a Washington o gli edifici sul Battery Park a New York, o i docks a Londra. Tra concessioni, imposte e canoni il Comune potrebbe finanziare non solo le Olimpiadi, ma badare a se stesso per vari anni. Naturalmente si dovrebbero trasferire molti residenti attuali: le alternative, in termini di nuovo o recupero dell'esistente, non mancano, anche per rilanciare e bonificare aree oggi lasciate al degrado. 8)Le Olimpiadi del '60 ci tramandano un'altra lezione. Se Roma sarà scelta, si riutilizzi al meglio l'esistente (come fu fatto allora per lo stadio Olimpico e per l'Eur) e si realizzino quei collegamenti che servono alla città, magari su ferro, lasciando perdere idee improbabili quali lo shuttle immaginato – e fortunatamente non realizzato - per i Mondiali del '90, o la monorotaia torinese di Italia '61: ci volle e si spese più per smantellarla che per costruirla. Meglio, come ha annunciato Gianni Alemanno, rilanciare i tram che non inquinano e possono effettivamente costituire la metropolitana del futuro. Ed a proposito di inquinamento, è indispensabile che non solo le Olimpiadi, ma Roma intera si ponga un obiettivo realistico (e quindi non impossibile) di ecosostenibilità. I prossimi anni dovranno comunque essere quelli della raccolta differenziata e del riciclaggio, della chiusura di Malagrotta o della sua completa trasformazione. 9)Si lascino certo segni di modernità, ma si valutino con molta prudenza le proposte degli archistar. L'Ara Pacis di Meier insegna, mentre quel gioiello (vero) della Tate Modern di Londra era una centrale termoelettrica. Passata la sbornia mondiale l'architettura contemporanea torna ad essere al servizio di chi la usa, non di chi la fa e del suo portafoglio. Anzi: le Olimpiadi possono rilanciare il made in Italy anche nell'architettura, com'era stato per decenni prima che il provincialismo prendesse il sopravvento. 10)Infine, a proposito di provincialismo e made in Italy, lasciamo perdere comitati, comitatini e supercomitati, con relative parcelle e auto blu. Anche qui Italia '90 serva di lezione. Non promette bene l'idea di cercare, come abbiamo letto, “un personaggio di livello internazionale, magari straniero, che conosca l'inglese, tipo Bill Clinton”. Servono soprattutto professionisti con capacità di lobbying – e non mancano – e civil servant, e ne abbiamo di ottimi. Non dimentichiamo che un anno fa un certo Barack Obama si precipitò a Copenaghen per sponsorizzare la candidatura di Chicago per i giochi 2016: fu sonoramente battuto dal presidente brasiliano Ignacio Lula, che parlò in portoghese.

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