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Roma vince la Lega perde

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La penultima sparatona è stata del senatore della Lega Nord Giuseppe Leoni mentre il Coni dava alla Capitale il ruolo di città candidata ai Giochi: «Roma ladrona. Ora ci hanno rubato anche le Olimpiadi». L'ultima delle trombonate è arrivata da Luca Zaia: «Il risultato delle votazioni del Coni penalizza il popolo veneto e tutto il Nord». Leoni e Zaia non sono due sagome qualunque, due comparse del Carroccio piazzate qua e là per fare numero. Sono due dirigenti che rappresentano un partito della maggioranza, sono espressione di una forza di governo. La posizione nelle istituzioni dovrebbe suggerire loro un po' di saggezza, ma evidentemente dalle loro labbra affiora una verità difficile da razionalizzare in un ragionamento politico. Verrebbe da dire che i leghisti rosicano. E mi dispiace scrivere che in questa vicenda gli esponenti della Lega stanno dimostrando tutti i limiti di una forza politica che non riesce ancora a darsi un profilo di partito nazionale. Tanto Bossi sfoggia acume politico, quanto i suoi dirigenti spesso evidenziano un'assenza di visione e strategia disarmanti. Quando non ottengono quello che vogliono, i leghisti strillano, agitano il complotto, rispolverano la retorica del Nord, il consunto slogan di «Roma ladrona» che in realtà dovrebbero lestamente archiviare per il non trascurabile fatto che nella Capitale la Lega occupa da molti anni un posto importante nella stanza dei bottoni. Non è sintomo di intelligenza urlare contro Roma quando si governa a Palazzo Chigi e quando si ha un ministro serio e capace come Roberto Maroni a capo del dicastero che più di tutti è la metafora del potere romano per eccellenza, il ministero degli Interni, il Viminale. Maroni controlla la macchina politico-amministrativa del Belpaese, i prefetti, le forze dell'ordine, le elezioni. Tutto quell'apparato di uomini, mezzi - e leggi - che fanno lo Stato unitario. La reazione dei leghisti non è accettabile neppure per ragioni elettorali, di marcamento del territorio o di identità. Le elezioni sono passate, governano il Settentrione. Il momento della propaganda è finito. Ma tant'è, il Carroccio s'impenna e fa ruggire il motore. La città di Roma, con tutto il rispetto, non è Olbiate o Trecate e neppure la bellissima Venezia. Parliamo della Capitale d'Italia, della culla della cristianità, del più grande museo a cielo aperto del mondo, di un pozzo infinito di storia, cultura, arte che non ha paragoni. Ma attenzione, Roma non è archeologia, non è il passato. Roma è il presente e il futuro di questo Paese. Il laboratorio culturale, economico e finanziario dell'Italia ha qui la sua testa. Fin dal mio primo giorno come direttore de Il Tempo ho spiegato che la mia missione sarebbe stata quella di demolire uno per uno tutti i falsi miti che aleggiano sulla Capitale. E a quell'impegno preso con i miei lettori tengo fede. Roma ha mille problemi, ma quando pensiamo a una città di respiro internazionale, il pensiero di chi ha un po' di sale in zucca, ha letto qualche libro e due o tre giornali arriva qui. La candidatura di Venezia era più che legittima, altrettanto logica però, per la forza dei fatti, era la sua sconfitta. I leghisti hanno voluto tenere - con tutti i rischi che questo comportava - una posizione di bandiera. Orgogliosa e perfino interessante per il futuro. Ma tutto doveva finire esattamente come ha deciso il Coni: sarà Roma ad andare a caccia delle Olimpiadi del 2020. Il presidente del Coni Petrucci ha spiegato in poche parole il perché: «Vogliamo vincere». Lo spirito olimpico del barone De Coubertin in questo caso può andare serenamente in soffitta: la battaglia sarà durissima e non si scende in campo per partecipare, ma per battere un'agguerritissima concorrenza. Venezia non aveva neppure gli standard minimi previsti dal Comitato olimpico, non sarebbe arrivata da nessuna parte e i leghisti avrebbero fatto la figura di quelli che si presentano al Gran Premio senza benzina. Tutto questo accade mentre Umberto Bossi incassa un primo sì al federalismo fiscale. Il destino si diverte a incrociare i fatti, mischiare gli accadimenti. Penso sempre che lo faccia per dare la possibilità a ciascuno di leggerne il significato, di ricostruire un filo conduttore e dare un senso alla nostra esistenza. La Lega si batte giustamente per il federalismo, è la sua ragione d'essere, la sua linfa. Lo fa in una cornice di unità nazionale, solidarietà e corretta severità. Se il comportamento del Carroccio però è quello che abbiamo visto sul caso della candidatura olimpica di Roma, allora bisogna ricordare agli amici leghisti che bisogna essere coerenti. Non si può urlare contro «Roma ladrona» quando si perde una gara e poi contemporaneamente pretendere l'adesione di tutti al progetto federalista. L'ideale non è a senso unico. Non esiste solo il rapporto Nord-Sud, ma anche quello Sud-Nord. Non esistono soltanto le legittime richieste di equità, giustizia ed efficienza del Nord, ma anche quelle altrettanto solide della Capitale, del Lazio e del Meridione. A Milano l'oro non luccica da molto tempo. L'ex capitale morale è in crisi nera, la sua classe dirigente è in cerca d'autore. Non si vive di sola gloria né di un'industria che in realtà affoga nei debiti e aspetta che i nuovi capitani coraggiosi della Capitale risolvano i loro problemi. Sono cose che i leghisti conoscono benissimo, gli stessi che rivendicano la poltrona del sindaco Moratti. A Roma ci sono occasioni e talenti che non possono essere buttati via solo perché ogni tanto ci si ricorda di esser stati celoduristi. La Lega ha davanti a sé una grande sfida, il federalismo. Dimostri di essere all'altezza di questa rivoluzione. Sostenga la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020, impegni le sue intelligenze per fare della Capitale uno dei propulsori del rilancio dell'Italia. Il Paese sarà grato a Bossi più di quanto egli stesso oggi possa immaginare.

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