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E dalle intercettazioni spunta il caso Giubileo

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Ora il naso dei magistrati potrebbe infilarsi nelle carte polverose del Giubileo del 2000. A meno di 48 ore dalle dimissioni del ministro Claudio Scajola, la politica si interroga sulle inchieste che fra Firenze, Roma e Perugia scoprono un sistema ben collaudato di favori e di affarismo fra la politica e gruppi imprenditoriali che, pur non essendo di primo livello economico, lucrano, o hanno lucrato dalle casse dello Stato, appalti garantiti dalla confidenzialità dettata dalle norme sulle emergenze e sulla sicurezza. I magistrati di Firenze, di Roma e Perugia devono fare i conti con un «verminaio» e una «cricca» che hanno messo le proprie radici almeno undici anni fa, almeno stando a pezzi di indagini. E così i pm soltanto apparentemente devono fare i conti con la costruzione di qualche caserma, come a Firenze, in realtà stanno valutando l'opportunità di andare più indietro, fino all'organizzazione del «Giubileo 2000».   Montagne di intercettazioni telefoniche e altrettante di note e fascicoli mettono al centro del monitoraggio degli inquirenti alcune iniziative i cui registi sedevano nei palazzi più importanti delle istituzioni. Intanto, alla Guardia di finanza e al Ros la procura di Perugia ha chiesto di effettuare accertamenti «a tappeto» sugli appalti ottenuti negli ultimi anni dal gruppo di Diego Anemone, l'imprenditore considerato dagli inquirenti una delle figure chiave di tutta l'inchiesta, assieme a Balducci. E ha chiesto di ricostruire i flussi di denaro al centro degli ultimi filoni d'indagine avviati. I pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi sono infatti convinti, e lo hanno scritto nella richiesta d'arresto per l'architetto Angelo Zampolini, per il commercialista Stefano Gazzani e per il funzionario pubblico Claudio Rinaldi - che i soldi servissero per «remunerare pubblici ufficiali» e che siano il frutto di reati ai danni della pubblica amministrazione. In sostanza, «appare fondato ritenere» che gli assegni servissero al gruppo Anemone «per il perseguimento di fini illeciti» e che dunque gli intermediari come Zampolini altro non siano che «riciclatori».   A conferma di ciò i pm sottolineano che l'approfondimento di sole quattro operazioni sospette (l'appartamento di Scajola, quelli per il generale della Gdf ora all'Aisi Francesco Pittorru e del figlio di Balducci, Lorenzo) «ha già delineato un quadro preoccupante circa la finalità delle stesse». Ma «rimangono da approfondire ulteriori operazioni di analogo tenore, in relazione alle quali le indagini sono ancora in corso». I pm fanno riferimento in particolare ai conti accesi dal gruppo Anemone nella filiale di via Romagna, a Roma, della Banca delle Marche che «al momento non ha fatto pervenire alcuna segnalazione» e che «appare essere il vero punto di riferimento bancario del sodalizio». È in quella banca che vi sono, tra l'altro, 23 conti ancora accesi (sui 30 iniziali) intestati ad Alida Lucci, segretaria di Anemone. Intanto, il primo processo per le indagini sulla presunta cricca si aprirà il 15 giugno, a Firenze, a quattro mesi dai primi arresti. Lo ha deciso il gip del capoluogo toscano, Rosario Lupo, accogliendo la richiesta di giudizio immediato per le quattro persone raggiunte da misure cautelari per la vicenda dell'appalto Scuola marescialli dei carabinieri, filone fiorentino dell'inchiesta sui Grandi eventi. Gli imputati: l'ex presidente del consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo Balducci, l'ex provveditore alle Opere pubbliche della Toscana Fabio De Santis, l'avvocato Guido Cerruti e l'imprenditore Francesco Maria De Vito Piscicelli.  

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