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Nucleare, Alemanno frena "A Montalto niente centrali"

Il sindaco di Roma Gianni Alemanno

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Non nel mio giardino. È una vecchia storia. Ogni volta che in Italia si cerca di fare qualcosa il «popolo del no» alza la voce e cerca di imporre la sua legge. È successo con l'Alta velocità ferroviaria (solo per citare uno degli esempi più recenti), si replica sul nucleare. L'ultimo a scendere in campo per porre il suo veto è il sindaco di Roma Gianni Alemanno che, durante il viaggio della memoria a Hiroshima, luogo simbolo dell'energia atomica utilizzata come arma di distruzione, avverte: «Montalto di Castro ha già dato. Era una centrale nucleare in costruzione quando ci fu la scelta referendaria. La popolazione dopo aver subito gli effetti del carbone, non può subire quelli del nucleare».   In ogni caso per il sindaco la scelta fatta dal governo era «obbligata visto che l'Italia è l'unico Paese del G8 fuori dal nucleare civile. Ma occorre essere attenti all'intero ciclo produttivo, compreso il problema delle scorie, perché altrimenti il nucleare rischia di essere un boomerang». Insomma, sì alle centrali ma non nel mio giardino. In fondo già in campagna elettorale la candidata Renata Polverini aveva spiegato che il Lazio è una Regione energeticamente autosufficiente e che quindi non c'era necessità di una centrale. Men che meno a Montalto di Castro. Il problema è che, ragionando il questo modo, il governo sarà presto obbligato a rivedere la sua strategia di ritorno al nucleare. E pensare che, meno di tre giorni fa, il premier Berlusconi aveva messo al centro della sua visita al presidente francese Sarkozy proprio il dossier atomico. Ma se a Parigi applaudono la scelta italiana, dentro i confini della Penisola, da Nord a Sud, è tutto un fiorire di no. Scontati quelli di Regioni rosse come Puglia, Toscana, Emilia Romagna e Basilicata (il presidente Vito De Filippo si è detto pronto a farsi paladino di «una nuova grande mobilitazione civile»). Un po' meno scontati i no dei governatori di centrodestra. Assolutamente contrari Ugo Cappellacci (Sardegna), Michele Iorio (Molise), Raffaele Lombardo (Sicilia) e Renzo Tondo (Friuli Venezia Giulia). Con quest'ultimo che spinge per «il raddoppio della centrale slovena di Krsko». Mantiene qualche riserva il neogovernatore leghista Luca Zaia che ha demandato ogni decisione ai tecnici anche se ha commentato laconinico: «La vedo dura». Roberto Formigoni, pur favorevole al nucleare, ha giocato la carta dell'«autosufficienza energetica» della Lombardia. Mentre il più possibilista appare Roberto Cota che, prima di essere eletto, aveva spesso usato lo slogan: «Meglio una centrale pulita in Piemonte che una vecchia in Francia». E così potrebbe essere il Piemonte ad ospitare uno dei 4 siti nucleari previsti dal piano nazionale del governo. Per quanto riguarda i restanti tre l'impressione è che il governo non avrà vita facile. Anche per questo a Palazzo Chigi starebbero studiano la possibilità di riappropriarsi in toto delle competenze in materia di energia. Un modo come un altro per aggirare i veti del «popolo del no» e richiamare all'ordine quei governatori ribelli che, per non scontentare i propri elettori, preferiscono lasciare l'Italia alle prese con la sua costosa e nociva dipendenza del petrolio.  

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