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Napolitano fa il pompiere

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GiorgioNapolitano è preoccupato. Al Colle il campanello d'allarme di un possibile scontro tra istituzioni, è tornato a suonare. Non sono passate nemmeno ventiquattr'ore da quando il premier ha lanciato l'ennesimo attacco contro la magistratura accusata stavolta di essere, anche se in una sua minoranza, una «banda di talebani», che il presidente della Repubblica si è sentito in dovere di prendere carta, penna e calamaio e scrivere una lettera indirizzata al vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Nicola Mancino. Un modo per esprimere il suo timore a riguardo di quelle che definisce le nuove «drastiche contrapposizioni e pericolose tensioni non solo tra opposte parti politiche ma tra istituzioni, poteri e organi dello Stato», che rischiano di avere ripercussioni ben più gravi se si inseriscono in un periodo di «delicate vicende processuali» e «all'avvio di un'impegnativa competizione elettorale». Le parole di Berlusconi, così, tornano, come già successo nel passato, a rendere tesi i rapporti tra Palazzo Chigi e il Quirinale. Qualche mese fa la crisi si sfiorò in seguito alle polemiche che si innescarono dopo la bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale. Ieri è toccato a Napolitano tornare alla carica stigmatizzando le parole del premier. Le definisce «accuse quanto mai pesanti che feriscono molti e che possono innescare un clima di repliche fuorvianti». Ma Napolitano va oltre e, dopo aver apprezzato il fatto che la magistratura associata abbia annunciato di non volersi far trascinare nelle polemiche, lancia un ulteriore appello ad abbandonare le tensioni perché non aiutano «la causa delle riforme necessarie per rendere più efficiente, al servizio dei cittadini, l'amministrazione della Giustizia». Osservazioni pienamente condivise sia da Mancino («auspico un confronto civile e assicuro che il Csm farà la sua parte»), sia dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, che aggiunge: «È indispensabile che tutti facciano quanto è in loro dovere e potere per garantire il reciproco rispetto e un clima costruttivo». Nel frattempo, mentre monta la polemica, Berlusconi resta in silenzio tra le stanze di Arcore. Ieri mattina, i suoi legali hanno chiesto una sospensione del processo che lo vede imputato per corruzione in atti giudiziari, in attesa di vedere le motivazioni della Cassazione sul caso Mills. Sospensione però negata: i legali del Cavaliere, Piero Longo e Niccolò Ghedini, hanno ottenuto solo un rinvio di circa un mese. Per l'esattezza, al 26 marzo. Vale a dire due giorni prima del voto per le Regionali. E questo, per la fitta agenda delle tre togate responsabili del processo. «Operazione non casuale», bisbigliano dalla maggioranza. E Ghedini aggiunge: «Questo processo va avanti solo perché c'è Silvio Berlusconi, altrimenti non si farebbe mai». Quello della sentenza pronunciata dalla Cassazione giovedì scorso era argomento inevitabile, ieri, in aula a Milano, dal momento che il procedimento era stato sospeso a metà gennaio proprio in attesa che la Suprema Corte mettesse la parola fine alla posizione di Mills. E tra l'altro per la difesa, aspettare le motivazioni della Cassazione avrebbe consentito una «lettura meno ipotetica» di quella possibile con il solo dispositivo. Meno «ipotetica» su due punti in particolare: la data della prescrizione, che, per i difensori «evidentemente non è quella indicata dal capo d'imputazione (per Mills aprile 2010, ndr)» e per quanto riguarda i testimoni da sentire. I giudici, però, hanno valutato che non era possibile sospendere il processo per un periodo «indeterminato», in quanto i tempi del deposito delle motivazioni sono «difficilmente prevedibili». Da qui un rinvio al 26 marzo. Decisione che non è piaciuta a Ghedini che l'ha giudicata «incongrua». Il giudici dovranno anche decidere su un'eccezione riguardante la data d'iscrizione nel registro degli indagati del premier. Ale. Ber.

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