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Bonino-Bindi, "botte" da cavalleria rusticana

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Emma Bonino, candidata alla Regione Lazio

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«Che povera questa Bonino che fa lo sciopero della fame... ma di fatto è uno sciopero dal Pd, che non l'appoggia, non la vuole e non le fa campagna elettorale. Così il Pd tratta le donne». Lo ha detto Daniela Santanchè, segretario nazionale del «Movimento per l'Italia». In realtà la Bonino sta facendo lo sciopero della sete, ma al Pd la preoccupazione al capezzale delle regionali è grande perché è difficile che le possa venire l'acquolina in bocca dopo i nuovi attacchi che le ha riservato la sua presunta formazione. Insomma, sempre più insalutata ospite, lontana dalle bottiglie ma vicina alle battaglie di un partito che le sta facendo capire in tutti i modi di non essere il suo. La «chiamata a raccolta dei cittadini alla rivolta democratica», come la candidata alla presidenza della Regione Lazio è tornata a definire ieri a Milano la sua iniziativa di denuncia della «discriminazione» in atto contro i radicali, sarebbe stata infatti letta dal presidente dei democratici, Rosy Bindi, come un modo per approfittarsi della visibilità ottenuta con la candidatura laziale appoggiata dal Pd. Un giudizio totalmente respinto dalla Bonino. «La parola approfittare serve per altre attività. Non mi sto approfittando di nulla - ha chiarito -. Io chiedo soltanto se è vero che le norme elettorali sono state violate e se sì, la Bindi ha tutto il potere per fare qualcosa, come rivolgersi al governo o altro, con modalità meno "gandhiane". Ognuno faccia quello che può». «Sappiamo i limiti dei nostri strumenti ma la sordità delle istituzioni è una cosa preoccupante», ha quindi concluso la leader radicale precisando che «per il momento non ci sono state risposte da parte delle autorità» alla richiesta di un intervento governativo per, ad esempio, dimezzare il numero di firme necessarie o prolungare i tempi per la raccolta. Ma la Bindi è avvelenata. E ha sentenziato: «Della Bonino come donna di governo ci si può fidare. Ma la sua lealtà è già venuta meno». Davanti alle accuse mosse contro il Pd di non aver aiutato i candidati radicali a raccogliere le firme, la vice-presidente della Camera sbotta: «Non capisco perché dovremmo aiutarli dove sono candidati contro di noi. E se proprio hanno bisogno del nostro aiuto per autenticare le firme, non sia Emma a portare avanti la battaglia. Lei si concentri nel Lazio». Insomma, roba da siero antivipera. Ma dell'antidoto sembra al momento sprovvisto il primario del nosocomio-Pd. La grave sindrome, con possibili effetti di epidemia nel Lazio, era stata già portata lunedì all'attenzione del segretario, Pier Luigi Bersani. Che se l'era cavata con un agreement tipico dell'interim: «Candidatura della Bonino a rischio? «No, le sue sono ragioni da ascoltare», era stata la posizione del leader. La verità è che al Nazareno più di un malumore Emma lo sta creando. Il fatto di essere candidata - non targata Pd - in una regione importante e precedentemente governata dal Partito democratico, ha fatto sicuramente storcere il naso a parecchi dirigenti. Non solo. A più di uno sembra che l'impegno della storica leader radicale sia più indirizzato verso le «battaglie per la legalità» che sulla campagna elettorale vera e propria. Su questioni di principio, piuttosto che su temi veri. Esempio lampante l'assenza alla presentazione, l'altroieri a Roma, dei candidati governatori del centrosinistra. Nel Lazio Renata Polverini ha cominciato a muoversi con largo anticipo rispetto a lei, la Bonino non ha ancora acceso la macchina elettorale. E la batteria sembra già scarica. Adesso cambiare il nome su cui puntare è praticamente impossibile. Resterà la Bonino, con tutti i grattacapi che può arrivare a creare, ala ricerca di quel delirante «miracolo laico», come lo ha definito, che risvegli il governo e le istituzioni. Arguta la battuta di Paolo Gentiloni: «Bonino è Bonino, compri tutto il pacchetto».

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