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Alfano: "Le leggi le fa il Parlamento"

Il ministro della Giustizia Alfano

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Nell'Aula Magna della Corte di Cassazione si respirava un'aria quasi dell'irreale. Un'atmosfera inconsueta. Per una volta politica e giudici si sono stretti idealmente la mano. Una tregua siglata ieri in occasione della cerimonia per l'inaugurazione dell'anno giudiziario alla quale hanno parte oltre ai presidenti di Senato e Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini, anche Giorgio Napolitano, capo dello Stato e presidente del Consiglio superiore della magistratura. Nell'aria però si sapeva benissimo che la pace sarebbe stata limitata all'evento. Lo sapeva benissimo il premier Silvio Berlusconi accompagnato, oltre che dal Guardasigilli, Angelino Alfano, anche dal ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, seguito a ruota, come cerimoniale impone, dai colleghi della Semplificazione, Roberto Calderoli e da quello della Funzione pubblica, Renato Brunetta. Tutti comodamente seduti in prima fila ma con la mente già proiettata ad oggi quando i magistrati indosseranno la toga, stringeranno tra le mani una copia della Costituzione e abbandoneranno l'Aula appena un rappresentante del Governo prenderà la parola per dare avvio all'anno giudiziario nei vari i distretti di Corte d'appello in Italia. Una protesta con la quale Alfano sa di dover fare i conti e alla quale, anche se non esplicitamente, dedica le prime battute del suo intervento: «Questa giornata è per i cittadini e non per noi, che siamo qui chiamati a rendere conto del nostro operato». Un velato avvertimento che, dopo quello di mercoledì scorso nel quale definì le cerimonie di inaugurazione dell'anno giudiziario «una giornata che è per i cittadini e per il loro diritto di avere giustizia», mira a definire i limiti tra potere legislativo e giudiziario: «Rispettiamo l'autonomia e l'indipendenza dei magistrati: un recinto che riteniamo sacro», ma i giudici ricordino che «la legge la fa il Parlamento, libero, democratico, sovrano, espressione del popolo italiano. Quello stesso popolo in nome del quale i giudici pronunciano le loro sentenze». Nel suo intervento, il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha prima ringraziato il capo dello Stato per aver pronunciato «in materia di giustizia parole sempre decisive per il mantenimento degli equilibri istituzionali», e poi il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, «per il sostegno politico offerto all'azione riformatrice del governo soprattutto in materia di antimafia e giustizia civile». Ma le parole più incisive il Guardasigilli le pronuncia su quanto il governo intenderà fare in tema di giustizia. Prima bachetta le toghe («la separazione pm-giudici si farà, perché è un dovere rispetto al quale il Paese non merita la resa), poi annuncia di voler portare avanti «un progetto chiaro per vincere la lentezza» dei processi. «È un percorso irto di ostacoli che non prevede, che da un giorno all'altro, come d'incanto, tutto si risolva. Ma non ci siamo rassegnati». Alfano è consapevole che «la bacchetta magica appartiene al mondo delle fiabe», ma sa anche che per riformare la giustizia bisogna riscrivere «alcune fondamentali regole costituzionali che attribuiscano al giudice il ruolo centrale nell'esercizio della giurisdizione e garantiscano a un separato ordine dell'accusa piena autonomia nell'esercizio dell'azione penale nonché nello svolgimento delle indagini sulle notizie di reato che a esso pervengano». Infine il ministro ha voluto lanciare un messaggio di speranza all'opposizione: «La riforma sia il più possibile condivisa» pur precisando che il governo non intende «acquietarsi alla logica della conservazione» perché «riformare la giustizia è un dovere verso i cittadini-utenti».

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