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Bersani, segretario senza partito

Pierluigi Bersani

Soccorso Udc dove è obbligatorio

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Schopenauer diceva che «la solitudine è il destino di tutte le grandi menti». Pier Luigi Bersani deve ancora dimostrare di essere «una grande mente». E probabilmente, visti gli ultimi risultati del Pd, deve anche dimostrare di essere un «grande politico». Ma sulla solitudine è già un pezzo avanti. Da quando l'Assemblea nazionale del Pd lo ha incoronato ufficialmente lo scorso 7 novembre, il segretario è riuscito nell'impresa di venir scaricato un po' da tutti. L'ultimo in ordine di tempo è stato Romano Prodi che, dopo aver sponsorizzato il suo conterraneo (un appoggio che ha sicuramente pesato nella corsa per la leadesrhip), martedì ha fatto sapere che l'Italia è simpaticamente percorsa da frotte di cittadini rosi da una domanda quasi esistenziale: ma chi comanda nel partito? Un modo carino per spiegare a chi ancora non lo avesse capito che, attualmente, il peso di Bersani all'interno del Pd è prossimo allo zero. E forse non ha proprio tutti i torti. Chi ha partecipato lunedì alla Direzione dei Democratici racconta che il segretario è stato lasciato da solo a difendere le scelte degli ultimi mesi. A partire da quella di cercare in tutti i modi un accordo con l'Udc in Puglia salvo poi accorgersi che Francesco Boccia era un candidato talmente debole che Nichi Vendola lo ha letteralmente travolto nelle primarie. Ebbene i «registi» di questa operazione lunedì si sono dileguati. Enrico Letta non ha partecipato alla Direzione e Massimo D'Alema, dopo aver ascoltato la relazione di Bersani, si è alzato e se ne è andato. Dopotutto il lìder Maximo, dopo la batosta pugliese, si è già riposizionato facendosi eleggere presidente del Copasir. Un incarico che gli permetterà di mantenere un filo diretto con Palazzo Chigi senza doversi difendere dagli attacchi di chi lo accusa da tempo di essere un professionista dell'inciucismo. E c'è da giurare che il Pd diventerà presto l'ultimo dei suoi pensieri. Anche Rosy Bindi, che il segretario ha voluto sulla poltrona di presidente del partito, non ha risparmiato velate critiche alla gestione bersaniana. Punzecchiature, giusto per far capire che così non si può andare avanti. C'è poi Pier Ferdinando Casini. L'Udc ha stretto accordi con i Democratici in quattro Regioni sulle 13 che andranno al voto a fine marzo. Ma lo ha fatto solo dove non poteva fare diversamente. Scelte obbligate che difficilmente potranno tradursi in un accordo programmatico stabile da esportare a livello nazionale. Fallito il «laboratorio pugliese» non si è trovata un'alternativa credibile. Tanto che Bersani è stato costretto a rilanciare l'alleanza «scomoda» con Antonio Di Pietro. Un abbraccio mortale che, prima di lui, ha stritolato Walter Veltroni e Dario Franceschini. Tanto che D'Alema, qualche mese fa, paragonava il leader Idv a Berlusconi parlando di «populismi speculari» che si «alimentano a vicenda». «Nel senso - aggiungeva - che Di Pietro è l'opposizione ideale per Berlusconi». Ma soprattutto la cosa più evidente è che Udc e Italia dei valori sono assolutamente incompatibili come dimostrano le dichiarazioni di affetto rilasciate ieri sera da Tonino al Tg1. «Noi facciamo opposizione in modo chiaro e determinato - ha attaccato -. L'Udc fa meretricio, si offre al miglior offerente. C'è una bella differenza. Noi non siamo isolati perché siamo con tutti i cittadini, o almeno con quella gran parte di loro che non vuole più subire questo conflitto d'interessi, questo utilizzo strumentale delle istituzioni per fini propri». Parole che hanno immediatamente scatenato la reazione dei centristi che, in una nota ufficiale, hanno fatto sapere che «il segretario nazionale Lorenzo Cesa e il Presidente del partito Rocco Buttiglione, dopo gli insulti pronunciati dall'onorevole Di Pietro nel corso di un'intervista al Tg1, hanno deciso che la delegazione dell'Udc non sarà presente ai lavori del congresso dell'Italia dei Valori in programma la prossima settimana». Insomma, come accaduto ai suoi predecessori, Bersani si ritrova schiacciato tra Casini e Di Pietro. E la domanda nasce spontanea: da che parte farà pendere l'ago della bilancia democratica? La risposta probabilmente non c'è. Forse è un quesito irrisolvibile. Di certo Bersani dovrà cercare una soluzione che gli permetta di non soccombere sotto la scure della minoranza che aspetta le Regionali per aprire un regolamento di conti che potrebbe costare caro al segretario. E dovrà farlo da solo.

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