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La donna nera di Casini

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Adriana Poli Bortone

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Davvero viene da chiedere: ma che c'azzecca? Che c'azzecca Adriana Poli Bortone con Pier Ferdinando Casini? Boh. Lei, la donna nera. Quella che faceva le battaglie a favore della pena di morte. E va bene, in trenta anni, correva il 1980, si può cambiare idea. Tanto più che quegli appelli erano sottoscritti finanche da un certo Gianfranco Fini. E va bene che quello era anche un altro mondo. Lei, la «Poli», come affettuosamente viene chiamata dagli amici e soprattutto dai nemici, no. Non è cambiata per nulla. Bella, la classica donna del Sud. Focosa. Focosa ed elegante. S'è fatta largo a strattoni, spinte, gomitate. E soprattutto con le minacce. Scala le classifiche interne dell'allora Msi diventando la responsabile delle donne. Entra in Parlamento con Fini, nel 1983. Stringe un asse di ferro con Antonio Parlato, deputato di fede rautiana, assieme presentano una quantità di interrogazioni parlamentari. Contro ogni malefatta del regime. Soprattutto di socialisti e, naturalmente, democristiani. Arriva l'anno 1994, tutto cambia. La destra va al governo e Adriana è il volto presentabile dei missini e le viene assegnato un ministero, quello dell'Agricoltura. Capisce che è il momento buono e prova a partire all'assalto del ras pugliese della destra, Pinuccio Tatarella. Quando sta per cadere il governo chiede una serie di nomine locali, il coordinatore regionale di An, Francesco Amoruso, non gliele concede. Lei scrive al gruppo e annuncia che sta per passare con Dini: Amoruso viene defenestrato. Entra nelle grazie di Scalfaro che la vorrebbe confermata all'Agricoltura anche nel governo tecnico, ma Berlusconi pone il veto. Le viene però concesso di scegliersi il successore, e lei fa il nome di Walter Luchetti, un direttore del dicastero. Mai mettersi contro Pinuccio. Adriana se ne frega e lui non perdona. Quando si mette mano alla riforma elettorale, Tatarella tratta con Mattarella. E impone che in Puglia, unico caso di Regione sopra i cinque milioni di abitanti, nel proporzionale ci sia una sola circoscrizione e non due. Dunque, un solo capolista: lui. La Poli, se vuole, s'accomodi in seconda fila. Così, tanto per far capire chi comanda. Tatarella è anche uno che non dimentica. Vince l'Ulivo e all'intero gruppo di An sarà vietato di presentare interrogazioni contro il ministro della Difesa. Cioè, Mattarella. Adriana ingoia il rospo. Alla morte di Pinuccio si rifà viva, si riaffaccia sulla scena nazionale, anzi internazionale visto che si candida al Parlamento europeo. Viene eletta e mette su una fondazione dal nome eloquente: Identità e futuro. Per lei la destra deve fare la destra. Organizza convegni a Casamasella, in un castello vicino Lecce, con Alain De Benoist. Come quello del 2001 in cui Adriana afferma: «Noi che siamo convintamente di destra, noi siamo altrettanto convinti del fatto che la destra è attuale e moderna e sempre più diventa attuale. Non credo che sia più il momento della rincorsa al centro, il centro, l'abbiamo detto mille volte, ormai è sovraffollato, ha tante di quelle sfaccettature che non c'è bisogno di crearne delle altre, c'è invece bisogno, in Italia come in Europa, di una destra che sia un destra chiara, dichiarata, una destra in questo senso moderna e attuale, una destra che sappia stare nelle alleanze con la dignità che compete alla destra». L'anno dopo, si prepara al congresso di An fa pace con il vertice del partito, sostiene la corrente finiana di «Nuova alleanza». Scrive ai militanti: «Oggi, il mio desiderio, di ricollocare senza esitazioni la destra a destra, è appagato e non ho più motivo di polemica politica, anzi!». Non si rende conto che il congresso di Bologna ha sancito un nuovo assetto interno, con le tre correnti guidate da Gasparri-La Russa, Matteoli-Urso e Alemanno-Storace. Per lei non c'è più spazio. Viene eletta sindaco di Lecce, contesta le scelte e le svolte di Fini. Batte il tasto su una destra più a destra. Nel 2005 sogna di fare la grande oppositrice di Fini, scrive di nuovo ai militanti: «Chiedo a quanti ravvisino uguale necessità di rinnovamento di stabilire tutti noi insieme una base programmatica di lavoro e di impegno capace di far scattare e convergere forze ed energie del sentire "di destra"». Nelle elezioni di due anni fa torna sulla scena nazionale, si candida al Senato e dopo la vittoria pensa che sia pronto per lei un ministero, quello delle Politiche europee. Quando vede spuntare in quella casella il nome di Andrea Ronchi, un fedelissimo di Fini, spara a zero contro il partito romanocentrico. Rompe con i suoi, con il Pdl, s'avvicina alla sinistra che appoggia a livello locale. Dialoga con il sindaco Pd di Bari, Emiliano. Al matrimonio della figlia dell'editore di Telenorba viene fatta accomodare al tavolo degli invitati di centrosinistra. Poi si riavvicina a Berlusconi ma è troppo tardi, ha rotto con tutti i capetti locali del Pdl e nessuno la sopporta più: temono che faccia asse con il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo, che ha mezzo scaricato il centrodestra. Fitto impone la candidatura di Rocco Palese e Pier Ferdinando Casini la usa per fare un dispetto al Pdl. Uno a uno. Ora si cerca un terzo nome che possa mettere d'accordo centro e centrodestra e sbarrare la strada a Vendola. Sempre che la Poli Bortone non ne inventi un'altra delle sue.

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