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Troppa ipocrisia su Craxi

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Dieci anni fa moriva Bettino Craxi e oggi il giudizio su di lui è molto diverso da quello di allora. Si fa strada anche a sinistra una certa serenità d'analisi, che consente di smussare le durissime contrapposizioni degli anni '80 e '90. Il fenomeno sarebbe di per sé positivo, se non fosse che è inquinato dal modo tutto italiano di crocifiggere i vivi e santificare i morti. Dopo averlo venerato come un Dio in terra, inseguendolo con codazzi di "clientes" sempre più imbarazzanti, gli italiani (magari non tutti, ma certo moltissimi) lo hanno eletto tra il 1992 e il 2000 a colpevole morale e materiale di tutti i mali della Repubblica, finendo per andare oltre il segno nella direzione opposta. In realtà Craxi è stato, con pregi e difetti, uno dei protagonisti veri della politica italiana. Robusto sostenitore di una idea moderna e concreta dell'essere di sinistra, ha difeso come ha potuto la sua famiglia politica, quella socialista, in una nazione dove i comunisti sono sempre stati i cugini più numerosi, più ricchi, più potenti. Il Craxi degli anni da premier è un italiano di cui andare orgogliosi nel mondo. Il Craxi del Caf, tra l'87 e il '92, è un leader che troppo indulge nella corte attorno a sé e finge di non vedere l'andazzo non proprio commendevole dei finanziamenti al suo partito (in tutto uguali a quelli degli altri). I processi che lo hanno visto condannato non bastano a spiegarne la personalità. Sarebbe una scorciatoia politica e intellettuale. Craxi merita oggi quel rispetto che gli è stato negato negli ultimi anni della sua vita. Rispetto, naturalmente, non significa acritica adesione.

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