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La marcia sul Lazio

Renata Polverini

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  La battuta è velenosa: l'unico che può far perdere la Polverini è Claudio Velardi. Lo spin doctor. E le battute, si sa, contengono sempre un fondo di verità. Tutti gli errori, errorini forse, inciampi, sbagli, infortuni di questo inizio di campagna elettorale sono riconducibili in qualche modo all'uomo della comunicazione della candidata del Pdl alla Regione Lazio. Rientra tra questi il primo manifesto dell'aspirante governatrice.   Il settimanale L'Espresso nota che in quel poster la Polverini è stata ritratta con al polso un orologio Rolex, simbolo del lusso. Il che non è proprio il massimo per una candidata che si è presentata come paladina dei più deboli, delle fasce sociali più arretrate e maggiormente in difficoltà. Ma c'è un paradosso nel paradosso. Proprio quel manifesto è all'origine di altri problemi per la Polverini. Renata infatti appare senza simboli di partito e con una bella giacca rossa. Tanto da sembrare, a una prima occhiata, la portabandiera della sinistra. Almeno così l'ha vista Vittorio Feltri, direttore del Giornale, dichiarando apertamente che la ritiene inadeguata proprio perché poco di destra. Facendosi così portavoce di quella fetta di Forza Italia che sembra non impazzire per la segretaria dell'Ugl. E che su internet s'è scatenata, dapprincipio sul sito nazionale del Pdl e poi sul principale - e molto influente - portale di centrodestra, Tocqueville, sul quale compaiono diversi articoli contro la candidata di centrodestra. Con titoli eloquenti: «Comunista? No, grazie». Insomma, la Polverini è apparsa troppo schierata a sinistra. Un big del Pdl commenta: «E va bene piacere a tutti, ma di questo passo nun se famo votà manco dai nostri». Così, durante il suo primo tour elettorale, Renata ha compiuto una drastrica «conversione» a destra, scortata da Gasparri, Cicchitto e Lorenzin.   A Velardi viene imputato soprattutto il suo passato, la sua appartenenza alla sinistra, l'essere stato il braccio destro di Massimo D'Alema. Accuse risibili. Perché la giacca rossa e le uscite ammiccanti a sinistra (tra cui va annoverata anche un'intervista a l'Unità) si possono spiegare con il fatto che, non essendoci stato fino a pochi giorni fa il candidato della parte avversaria, la Polverini ha voluto sfruttare al massimo la possibilità di muoversi in campo aperto. Ha cioè mandato messaggi a quella parte di elettorato a cui sarà difficile parlare più avanti. Questa dovrebbe essere la strategia. O forse c'è da augurarsi sia questa. In ogni caso, se c'è una critica vera da muovere a Velardi è proprio quella di non essere un grande comunicatore. È invece come lobbista che funziona meglio. E fare lobbing è un altro mestiere, senz'altro più prestigioso. Nel suo curriculum di spin doctor brillano storiche sconfitte. Per esempio, Velardi era al fianco di D'Alema nel 2000, campagna anche allora per le Regionali. Baffino perse dieci a cinque e si dimise. Determinante fu proprio il Lazio, dove trionfò Storace. In compenso, Velardi è lo stratega che porta, sei anni prima, proprio D'Alema alla segreteria Pds battendo a sorpresa Walter Veltroni. Poi andò a Napoli a fare l'assessore comunale alla Cultura. Ci rimase poco, giusto il tempo di organizzare uno dei più importanti eventi culturali mai realizzati all'ombra del Vesuvio: letture di testi di Pasolini in tutti i teatri partenopei. Si cimentarono Erri De Luca, Toni Servillo, Mario Martone. Tornato al fianco D'Alema e dopo la caduta del suo governo, decise assieme agli altri dello staff dell'ex premier di abbandonare la politica e di mettersi in proprio, fare impresa. Fonda Reti, che si occupa di lobbing. La sede è a Palazzo Grazioli, dove abita anche Silvio Berlusconi. E su questa vicinanza s'è a lungo romanzato. Di recente, Velardi ha vissuto un'altra parentesi napoletana, breve: di nuovo l'assessore, stavolta alla Regione, con Basssolino. Con il quale ebbe anche uno scontro curioso. Quando Antonio lasciò il congresso dei Ds per protesta, Claudio venne mandato a Napoli per sanare l'incidente ma il governatore non gli volle rispondere nemmeno al citofono di casa. Alla Regione, due anni fa, Velardi si segnala per un'altra campagna discussa. Nel pieno dell'emergenza rifiuti, l'Italia viene tappezzata di manifesti in cui il capoluogo partenopeo appare senza una carta a terra e lo slogan è: «Monnezza a chi?». Scattano le proteste: nega il problema con le strade invase dalla spazzatura. Tra l'altro, proprio il giorno delle prime affissioni, in città la raccolta dei sacchetti va in tilt. Sempre nel pantano-Napoli, Velardi organizza pacchetti promozionali per turisti che suscitano la protesta degli albergatori: non siamo stati consultati (difetto di comunicazione). E preparano uno sciopero per respingere «le tanto trionfali quando mendaci parole di Velardi sullo stato del turismo napoletano». Per risollevare la Campania, Claudio assessore (che nel frattempo, spinto dal fedelissimo Antonio Napoli, ha scoperto la passione per la maratona) mette allora su un blog che si chiama “mission impossible”. Poi abbandona la Regione e anche il blog. Finché non gli capita una missione facile facile nel Lazio, perché la Polverini gode del vantaggio nei pronostici e nei sondaggi. Nel centrodestra lo ripetono con sempre maggiore insistenza: solo Velardi può farci perdere.  

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