Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Un passo per entrare nella storia

default_image

  • a
  • a
  • a

Questa volta viene proprio voglia di dirla così, alla Jovanotti: presidente Berlusconi, ci vogliamo fidare di lei, il 2010 sarà l'anno delle riforme. Diamo per assodato che, letterine dipietriste permettendo, l'atmosfera che ha messo per mesi a burrasca la vita politica sfida il tempo pazzerello e vira verso mesi di inedito tepore nei rapporti tra i partiti. Se le cose stanno così, se davvero il ferimento del premier per mano del pazzo più famoso del momento ha aperto d'un tratto gli occhi a tutti, maggioranza e opposizione, sulla necessità di una radicale modifica dello stile politico e di una svolta seria, anche se improvvisa, possiamo dire che l'anno 2009 si chiude aprendo la speranza che il 2010 sarà ciò che ci era stato promesso dopo la vittoria del centrodestra, l'anno zero di una legislatura costituente. Berlusconi ieri, al telefono con don Gelmini e la sua comunità, ha ripetuto con forza ancora maggiore ciò che va ripetendo quotidianamente da quando è costretto al suo ritiro nella villa di Arcore, il paio di concetti che probabilmente diventeranno il mantra dei prossimi mesi. Primo: l'amore, sia pure nella versione carismatica tipicamente berlusconiana, è il motore positivo del bene comune. Secondo: con chi ci sta, bisogna partire subito con un'ampia strategia riformista e modernizzatrice per cambiare il volto dello Stato e delle istituzioni. Come abbiamo detto, prendiamo il premier in parola. Vorremmo arrivare, tra un anno, a poter giudicare un progetto di riforma non più solo enunciato ma elaborato, discusso, instradato sui binari dell'approvazione non importa se – come ha detto giorni fa Tremonti – in Parlamento o in un'istituzione creata allo scopo. Quella che chiamiamo seconda Repubblica, ovvero il poderoso processo di mutamento politico cominciato agli albori degli anni Novanta del secolo scorso, finora ha prodotto ciò che sappiamo, un nuovo sistema dei partiti e un bipolarismo che, seppure a gradi alterni di rissosità, ha convinto gli italiani che cambiare ogni tanto governo e maggioranza fa bene alla salute repubblicana. Ma la Grande riforma, quella no, non c'è stata, e va detto senza infingimenti che la maggior quota di responsabilità in questo deficit riformatore sta sul groppone del centrodestra, per numeri e per compattezza politica sempre superiore agli avversari. Questo problema il premier riteniamo l'abbia presente: il Berlusconi cittadino e imprenditore s'è già ritagliato un degno spazio nella storia italiana, prescindendo dal giudizio che si vuole esprimere relativamente al suo operato. Il Berlusconi politico aspetta ancora la consacrazione, attende ancora il guizzo definitivo che possa inserirlo davvero tra quelli che, con una consapevole dose di retorica, amiamo definire i padri della Patria. Berlusconi dice che due italiani su tre sono con lui. Probabilmente è vero. È vero anche che sappiamo cosa vogliono questi italiani: una riforma di tipo presidenziale che rafforzi anche Parlamento e ruolo della minoranza, la diminuzione del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto e la contemporanea definizione del nostro per ora confuso modello federale, il bipolarismo compiuto secondo una dinamica di confronto tra due grandi partiti capaci di egemonizzare i rispettivi campi di influenza politica, e poi proseguendo con l'ammoderndamento della pubblica amministrazione, il nuovo welfare, la riforma inclusiva della cittadinanza aperta a una nuova idea dell'identità nazionale, la realizzazione del vecchio adagio che lo Stato deve fare poche cose ma le deve fare bene. Questa è la seconda Repubblica che aspettiamo da quindici anni, Presidente, e questa è il modello di Repubblica per cui gli italiani hanno continuato a votare il centrodestra in tutte le sue evoluzioni. Forse è arrivato il momento di farla, la Grande Riforma. Se succederà, non saranno solo i berlusconiani di stretta osservanza a cantare “Meno male che Silvio c'è”. Merry Christmas and happy new Year.  

Dai blog