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E ora si parla di riforme In Senato solo quattro gatti

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LucaCardinalini Nel giorno in cui i titoli parlano di «finimondo», «resa dei conti», «ultimatum», al Senato prende il via il dibattito sulle riforme istituzionali. Un tempismo perfetto. La metà dei banchi vuoti, cellulari a manetta, alcuni senatori non alzano gli occhi dallo schermo dei computer. Chi parla ha un uditorio, al massimo, di quattro o cinque persone. Delle quattro mozioni sul tavolo, due minimi comuni denominatori: la riduzione dei numero dei parlamentari e la fine del bicameralismo perfetto. A parole li vogliono tutti, fosse vero in sei mesi sarebbero realtà, ma non sarà così. Il dibattito risente del clima politico generale, giustizia e fuori onda per intenderci. La «riforma» del senatore dell'Italia dei Valori, Pancho Pardi, è quella di mettere in guardia contro «l'assolutismo del nuovo monarca», che a naso dovrebbe essere Berlusconi. Ridono i leghisti e da destra arrivano urla varie. Il discorso è già scivolato sulla giustizia. Giuseppe Astore, del gruppo Misto, «invita a riscoprire lo spirito unitario della Costituzione, come ripeto sempre ai miei alunni», che chissà dove sono ora, visto che dal 2001 lui è in Parlamento, ma il tema è sempre attuale. Comunque i colleghi non sembrano interessati da quello spirito. Adriana Poli Bortone, ex An e ora in quota Udc, chiede uno sforzo per superare il bicameralismo perfetto, e ricorda gli insegnamenti dei vari Calamandrei, Del Noce «nonché una mirabile mozione di Almirante e Romualdi». Per Massimo Garavaglia, Lega nord, riforme è sinonimo di federalismo fiscale: «In Lombardia scompare il 15% dell'imponibile, il Calabria il 94%, che razza di Paese è questo?». Musica per le orecchie del ministro Calderoli, unica presenza dell'esecutivo in aula, che sorride e fa sì con la testa. Quando Stefano Ceccanti (Pd) disserta dottamente sulla «senatizzazione della Camera», i più fanno altro. La parola passa a Luigi Li Gotti, avvocato in quota Idv, che suggerisce l'ineleggibilità per i condannati con sentenza definitiva - sui banchi della destra molte mani a falciare l'aria, come a dire: senti questo - ma quando quasi grida: «Voi volete cancellare l'articolo 3 che prevede l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge!», riceve improperi buu e un coro di «vergogna, vergogna». Serve esperienza, ecco allora il senatore a vita Emilio Colombo, che alla veneranda età di 89 anni, mette in guardia «a non minacciare né formalmente né surrettiziamente l'unità nazionale». Si sente una risata in sottofondo. La parola torna alla leghista Rosy Mauro, che concorda sul bisogno di riforme per modernizzare il paese, auspica la collaborazione leale e concreta di tutti, «perché non se ne può più di questo Stato assistenzialista e centralista». Standing ovation del drappello padano. Gli altri fanno altro.

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