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I due pesi della stampa faziosa

Ezio Mauro

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La vicenda che coinvolge Piero Marrazzo ha aspetti politici che non devono essere oscurati da quelli scandalistici. Dopo avere letto la notizia, avere saputo del presunto video, dei quattro carabinieri e dell'eventuale ricatto, stavo buttandomi a scrivere, di getto e senza imbarazzo, un pezzo che poteva intitolarsi: "Dalla parte di Marrazzo". Perché c'è un limite all'uso politico delle inchieste giudiziarie, che in questo caso non riguardano il politico ma altri soggetti, c'è un limite all'uso politico delle servate da postribolo, c'è un limite al diritto di pubblicare tutto. E si tratta di limiti già abbondantemente superati. Solo che ho dovuto raffreddare lo slancio e ragionare sul seguente fatto: anche per altri si è trattato d'inchieste giudiziarie che non li riguardavano direttamente, anche per altri erano echi del materasso, e per questi altri s'è pubblicato tutto, compreso il sesso sventolante di un governante estero. In quei casi, dov'era il politico Piero Marrazzo, per giunta giornalista di lungo corso e vasta esperienza? E c'è di più. Avrei voluto assistere alla caccia al filmato, tanto più che se taroccato avrebbe tolto il dubbio a tutti, avrei voluto constatarne la presenza sui siti che hanno diffuso gli altri. Non lo avrei visto, come non ho visto gli altri, perché non è il caso di abbassarsi. Ma avrei criticato quelle pubblicazioni, come ho criticato le altre. Oggi, invece, mi tocca constatare un male ancora più profondo del fanatismo da tifoseria, ovvero la doppiezza morale, il doppiopesismo scandalistico. Non solo. Nel caso di Marrazzo, anche se fosse vero quel che lui assicura essere falso, non c'è alcun reato da lui commesso. Anche per altri, non c'era alcun reato commesso. Ma se fosse vero che è stato tentato, anche solo tentato, un ricatto, se fosse poi vero che l'estorsione è andata a segno, in quel caso il reato ci sarebbe eccome, e Marrazzo ne sarebbe la vittima. Solo che una persona con funzioni istituzionali, un pubblico ufficiale, ha il dovere civico e l'obbligo giuridico di denunciarli i reati, non potendoli tenere per sé. E, se questo fosse lo scenario, leggerò mai dieci domande di Repubblica, destinate a conoscere il perché di questa grave omissione? Marrazzo ha detto una cosa evidente: si colpisce la persona per indebolire il candidato politico. È vero, quella è la conseguenza, anche se non necessariamente la causa. Perché, però, una simile affermazione è irricevibile e additata al pubblico ludibrio se si trova sulla bocca di altri. Ancora oltre: se il filmato non c'è, il ricatto non c'è, l'estorsione non c'è, il festino meno che mai, se non c'è nulla di tutto questo, chi è che colpisce la persona per indebolire il candidato? Se Marrazzo si riferisce all'inchiesta farebbe bene a dirlo chiaramente, altrimenti siamo alle mezze parole ed alle allusioni. Tutto questo non sarebbe in questi termini se il politico Marrazzo, come con costanza e senza distinzioni di schieramento facciamo noi, da molti anni, avesse trovato il tempo ed il modo di dire che l'andazzo della diffamazione collettiva porta solo alla perdizione politica. Invece se n'è guardato bene, sicché la sua reazione di oggi è tutta incentrata su quel che è capitato a lui. È umano, lo capisco, ma è il contrario di quel che dovrebbe fare chi crede che la politica sia un servizio alla collettività, e non solo la soddisfazione delle proprie, pur legittime, ambizioni. L'articolo in difesa di Marrazzo lo scrivo lo stesso, dunque e, dal punto di vista personale, non ho difficoltà ad esprimergli la mia solidarietà. Ma ho il dovere di accompagnarlo con una critica severa al modo in cui ha interpretato la sua funzione politica, al lungo tempo passato senza accorgersi che la macchina infernale delle inchieste giudiziarie usate a fini politici può massacrare chiunque. Lui compreso. Questo nel caso siano vere le sue smentite, come ho il dovere di credere che siano vere. Nel caso opposto, però, scrivemmo, per altri, che la condotta privata ha rilievo pubblico, quando si è chiesto il voto dei cittadini e li si rappresenta. Scrivemmo che chi rappresenta tutti non può e non deve pensarsi come la media dei vizi collettivi. Gli eletti, non solo in termini divini, hanno il dovere d'essere migliori. E una cosa cui sono tenuti è la coerenza. Ricordate la saggia canzone di Fabrizio De Andrè (La città vecchia)? che descriveva un vecchio professore nel salire le scale verso la camera con prostituta: "quella che di giorno chiami con disprezzo: pubblica moglie/ quella che di notte stabilisce il prezzo, alle tue voglie". Questa ipocrisia non è mai giustificabile, ma per chi ha un ruolo politico non è ammissibile. Se ritiene accettabile quel comportamento, il politico ha il dovere di sostenerlo per tutti, non solo per sé. Né cambia alcunché, ove al posto di Bocca di Rosa si trovi Bocca di Rosario. Non ci penso neppure ad erigermi guardiano della morale, che mi fanno orrore quanti praticano questo sport. Solidarizzo con Marrazzo, personalmente, anche se la storia fosse vera, al netto di tutte le altre considerazioni. Ma la coerenza è parte della morale politica, e non è derogabile.

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