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La Consulta: con il Lodo Alfano violati i princìpi di uguaglianza

Angelino Alfano

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La Corte Costituzionale ha depositato ieri in serata le motivazioni con le quali ha bocciato il lodo Alfano. Nelle sessanta pagine di spiegazioni la Consulta ha affermato che «la sospensione dei processi nei confronti delle quattro alte cariche dello Stato determina la violazione del principio di uguaglianza per una violazione di trattamento di fronte alla giurisdizione».   La deroga, infatti - ha evidenziato la Consulta - si risolve in una evidente disparità di trattamento rispetto a tutti gli altri cittadini che, pure, svolgono attività che la Costituzione considera parimenti impegnative e doverose, come quelle connesse a cariche o funzioni pubbliche (art.54 Cost.) o, ancora più generalmente, quelle che il cittadino ha il dovere di svolgere, al fine di concorrere al progresso materiale o spirituale della società (art. 4, secondo comma, della Costituzione)».   «Necessaria dunque una legge costituzionale per introdurlo perché il lodo attribuisce ai titolari di quattro alte cariche istituzionali un eccezionale ed innovativo status protettivo che non è desumibile dalle norme costituzionali sulle prerogative e che, pertanto, è privo di copertura costituzionale». Viene meno nelle motivazioni anche una della principali accuse rivolte dal governo alla Corte. I giudici hanno, infatti, ricordato come avessero «chiaramente e costantemente affermato in numerose pronunce», sia precedenti che successive a quella sul Lodo Schifani, il principio «secondo cui il legislatore ordinario, in tema di prerogative, e cioè di immunità intese in senso ampio, può intervenire solo per attuare, sul piano procedimentale, il dettato costituzionale, essendogli preclusa ogni eventuale integrazione o estensione di tale dettato», se non per le immunità diplomatiche previste da convenzioni internazionali, che però «trovano copertura nell'articolo 10 della Costituzione». La Corte ha affrontato anche nelle motivazioni per quale motivo non ha considerato necessario avallare la creazione di un meccanismo ad hoc per garantire il pieno svolgimento delle funzioni istituzionali. Il meccanismo è già presente nell'ordinamento giuridico e vale per tutti i cittadini. «Il legittimo impedimento a comparire ha già rilevanza nel processo penale» e, pertanto non appare necessario il ricorso al lodo Alfano per tutelare la difesa dell'imputato impedito a comparire nel processo per ragioni inerenti all'alta carica da lui ricoperta». Nell'affermare questo principio la Corte Costituzionale ha citato al riguardo, precedenti sentenze della stessa Consulta, tra cui quella sul caso Previti (n. 451 del 2005). In definitiva, la Consulta ha ribadito che anche per le alte cariche la tutela del diritto di difesa è già adeguatamente soddisfatta in via generale dall'ordinamento proprio con l'istituto del legittimo impedimento. La Corte ha ribadito la non configurabilità della «preminenza» del presidente del Consiglio rispetto ai ministri «perché egli non è il solo titolare della funzione di indirizzo del Governo, ma si limita a mantenerne l'unità, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri, e ricopre perciò una posizione tradizionalmente definita di primus inter pares ». La Consulta ha, infine, aggiunto che allo stesso modo «non è configurabile una significativa preminenza dei presidenti delle Camere sugli altri componenti, perché tutti i parlamentari partecipano all'esercizio della funzione legislativa come rappresentanti della nazione e, in quanto tali, sono soggetti alla disciplina uniforme dell'art. 68 della Costituzione» sull'immunità.  

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