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Mi trovavo nell'aula di Monte Citorio, quando mi misero sotto il naso la notizia della promozione, con tanto di lodi sesquipedali, del giudice Mesiano, quello dei 750 milioni di euro.

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MarioLandolfi, specializzato nei lanci di agenzia fasulli, in grado di titillare e far abboccare il Calandrino che è in noi. Mi chiesi, infatti: possibile che il Csm sia tanto privo di senso del ridicolo da «remunerare» in maniera così intempestiva, impudente e fragorosa il giudice che con la sua decisione ha attentato alla sopravvivenza della Fininvest, nonché a migliaia di posti di lavoro? In favore, poi, di un anti-italiano che ha preferito la cittadinanza svizzera? Invece no, non c'entrava l'aguzzo Landolfi, trattandosi della cruda, scrausa, ottusa verità di un premio elargito secondo un rigido parametro meritocratico. Hai dato un colpo a re Silvio? Bravo, bene, bis. Mi tornò alla mente Cossiga, che, dall'alto del Quirinale, ci illuse e ci deluse, quando minacciò, senza farlo, di mandare i Carabinieri a Palazzo dei Marescialli, per togliere definitivamente ai signori del Csm il vizietto eversivo di porsi come partito di lotta e di governo, nonché di Terza e Suprema Camera. Quindi, mi chiesi quando e perché noi umani, a volte, sbandiamo e perdiamo il filo d'Arianna del buon senso. Ebbene, mi pare d'essere giunto alla conclusione più ragionevole, cioè che il naufragio nel grottesco o nel ridicolo avviene ogni volta che ci sentiamo al di sopra di tutto, potenti, strapotenti, immuni, affrancati da ogni contrappeso, proprio come accade a molti membri togati, dentro e fuori il Csm. Ieri, a riprova che anche il senso del limite l'è morto, il pm Ingroia, sicuro del fatto che un magistrato può dire quello che vuole, sconfinare a piacimento e ingiuriare le istituzioni politiche costituzionali, è arrivato al punto di affermare che il disegno di legge sulle intercettazioni è «accompagnato da falsità». Come si permette? Quale voto popolare lo autorizza? Ha, forse, rimosso di essere un vincitore di concorso, come qualsiasi altro impiegato statale? Altro che lodo Alfano, nulla è più al di là della Costituzione del Csm, istituzione neppure da riformare, forse semplicemente da sigillare. La Carta, all'art. 105, detta: «Spettano al Csm… le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati». Insomma, non c'è scritto che possa fungere da terminale partitocratico delle correnti, né da postazione politica militante con licenza di esondazione sull'Esecutivo e sul Legislativo, tantomeno da Parlamento alternativo. D'altra parte, non me la prendo neppure con i Faraoni della casta togata, visto che sfruttano, sia pure con punte di intollerabile strafottenza, lo strapotere che, passo dopo passo, hanno ricevuto in dono da una classe politica invigliacchita, che, dalla prima Repubblica sino al 2009, ha continuato a piegare la testa, legittimando privilegi e status inauditi in tutto il mondo industrializzato e, ormai, anche in quello in via di sviluppo. Ancora ieri, m'è toccato di leggere che autorevoli esponenti del centrodestra non pensano minimamente che la separazione delle carriere debba condurre alla dipendenza del pm dall'Esecutivo, come a dire che noi italiani siamo i massimi deficienti dell'Occidente, imbecilli totali ed incivili, non ancora all'altezza di mettersi alla pari dei francesi, degli inglesi o degli statunitensi, che vivono benissimo col giudice davvero autonomo ed indipendente, mentre il loro pm è un avvocato dello Stato o comunque risponde al proprio governo. La verità da sussurrare all'orecchio di Berlusconi è che la separazione delle carriere, lasciando il pm così com'è, non serve assolutamente a niente. Coloro che non hanno il coraggio di ammetterlo e di dirlo al Premier, non credo che avranno mai la forza di ricondurre neanche il Csm nell'alveo della Costituzione.

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