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Sono le riforme lo "scudo" del Cavaliere

Silvio Berlusconi

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La grande furia berlusconiana è uno tsunami. Il Cavaliere sente sul collo il fiato di una spallata che, finora, ha mancato il bersaglio solo per un soffio. La lista dei nemici è stata ancora una volta offerta alla pubblica comprensione: giornalisti, stampa estera, magistratura rossa, Consulta politicizzata, e così via. Berlusconi reagisce ai tentativi di disarcionarlo radicalizzando temi e tensione dello scontro.   Il premier si sente forte della legittimazione popolare, il depositario dell'unico scudo politico dietro cui ci si può proteggere: il consenso delle urne. Interpreta qualsiasi spinta in direzione differente come un'intromissione indebita, una manipolazione paragolpista, il tentativo di favorire un governo dei “migliori” della stampa progressista e dei poteri forti economico-finanziari che ancora lo ritengono un abusivo a Palazzo Chigi. Prescindendo dal merito dell'intera faccenda, pare complicato che Berlusconi faccia macchina indietro nell'elaborazione della sua ira. Piuttosto, se non vuole mantenere troppo a lungo l'atmosfera di stato d'assedio e prestare il fianco alla critica di sovrapporre il destino delle proprie vicende personali a quello della Nazione, deve rilanciare il prima possibile l'azione riformatrice del governo, come gli chiedono gli alleati e soggetti sociali influenti, da ultima Confindustria. È questa l'unica, vera e valida assicurazione sulla longevità dell'esecutivo: il consenso vasto di cui ancora gode deriva dall'idea che solo il centrodestra ha la forza per accompagnare l'Italia fuori dalle secche della crisi economica, rilanciare le grandi opere, ammodernare la macchina statale e il sistema di welfare. In questo quadro può esserci anche spazio per un progetto di Grande Riforma delle istituzioni, di contenuto e destino diversi da quella partorita nel 2005 e schiantata dal referendum popolare l'anno appresso. Quattro anni fa la riforma costituzionale fu l'atto conclusivo di una legislatura non entusiasmante, questa volta potrebbe essere il punto di rilancio e consacrazione della voglia berlusconiana di scrivere una pagina di storia istituzionale italiana. Sia quel che sia, indipendentemente dalle fibrillazioni di ordine giudiziario o politico a cui è sottoposto, Berlusconi aver archiviato la vicenda del Lodo Alfano. Vuole tornare a occupare la scena politica mobilitando, oltre alla rabbia, il suo carisma. E rimane il leader politico più affidabile - o, analogamente, il meno improbabile - quando si parla di riforme. Su questo punto deve riflettere il Partito Democratico. Il centrosinistra soffre di una crisi di credibilità che non può certo essere sanata con la cura omeopatica delle primarie.   I mesi estenuanti di competizione tra Bersani, Franceschini e Marino, condensati momentaneamente nella Convenzione di ieri, danno l'impressione di un partito interamente calato nella conta delle proprie beghe interne e incapace di fare un buon lavoro di alternativa, tant'è che tutte le mazzate piovute su Berlusconi sono arrivate dai media e dalla magistratura, e le punture di spillo da qualche manifestazione di piazza o dalla virulenza dipietrista, ma mai dal principale partito di opposizione. Mesi di violenta campagna antiberlusconiana ci lasciano solo un'intervista fatale di D'Alema sull'ipotesi della “spallata” e il pallido tentativo di portare in Parlamento armi costruite altrove, cucite con il filo del gossip e l'ago dello sgambetto togato. Di battaglie memorabili contro le politiche del governo vi sono tracce scarse e sporadiche. La controffensiva politica berlusconiana, di cui scrive oggi Fabrizio Dell'Orefice, una volta chiarito che di vero cambio di marcia si tratta, rischia di marginalizzare ulteriormente il Pd nell'agenda politica e nella centralità sociale. Come dire: continuando così, bisognerà attendere che il premier esca di scena, in un futuro per ora molto lontano, per escogitare un riscatto politico del centrosinistra. A questo punto, riconosciuto che né la campagna scandalistica né i contraccolpi giudiziari hanno scalfito la leadership berlusconiana, il Pd può cambiare strategia. E dire a Berlusconi: se davvero hai un progetto di riforma delle istituzioni, non portarlo in piazza per cercare solo la legittimazione “dal basso” ma scopri le tue carte e rendiamo davvero questa una legislatura costituente, come ci si augurava a urne chiuse lo scorso anno. Del resto, anche Gianfranco Fini e Umberto Bossi hanno chiesto a Berlusconi di evitare che la Grande Riforma diventi teatro dell'ennesimo scontro a calor bianco, recuperando almeno in parte quello spirito di dialogo che, per esempio, ha consentito l'approvazione del federalismo fiscale. Me guadagnerebbero tutti: Berlusconi, abbandonando la sindrome del bunker. Il Pd, recuperando centralità politica. Ne guadagnerebbe l'Italia, accogliendo il ritorno di un confronto politico normale e non gestito da centrali extraparlamentari d'opinione.  

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