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Troppi dossier aperti e pochi risultati

Obama

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Magari a fine mandato, a conti fatti, scopriremo che davvero Barack Obama ha contribuito alla pace nel mondo come prima di lui la birmana Aung San Suu Kyi, o Nelson Mandela, o gli altri che lo hanno preceduto, ma la celebrazione preventiva è stata forse un po' azzardata. Dicono: «È uno stimolo all'azione per la pace». Vero. Solo che nel frattempo, mentre costruisce quelli che potrebbero essere i possibili percorsi di pace, il presidente Obama ha ancora sul suo tavolo dossiers nei quali non è del tutto chiaro come agirà, quali saranno le sue mosse. Dai rapporti con l'Iran, all'atteggiamento nei confronti dei problemi del Medio Oriente: israeliani e palestinesi, scettici, vedono allontanarsi ancora una volta le prospettive di pace tante volte evocate. Obama aveva detto che in un anno avrebbe chiuso Guantanamo. Oggi Guantanamo è ancora lì e l'unica notizia è che c'e' in costruzione un carcere speciale sul suolo americano che forse farà rimpiangere ai detenuti la sistemazione cubana. Il Nobel per la Pace Barack Obama da "candidato-presidente" aveva dichiarato: "Afghanistan is gonna be my war", l'Afghanistan sarà la mia guerra. E oggi la sua guerra lo è per certo, solo che la forza dei talebani e le indecisioni sul cosa fare rischiano di moltiplicare i guai per la popolazione di quel paese, oltre che per il resto del mondo. Certo Obama ha detto parole chiare sul nucleare, ma poi che cosa accadrà davvero con l'Iran è tutta storia ancora da scrivere. Per questo forse l'America ha accolto con stupore, gioia, ma anche quelche incertezza l'annuncio di Oslo: come se l'Obama simbolico (esattamente come era accaduto in campagna elettorale) alla fine convincesse di più il resto del mondo che non gli americani. Adesso è solo una strana sensazione, difficile da definire, ma forse questo Nobel alla fine non si tradurrà in un grande regalo in patria per il Presidente che affronta problemi spinosi come la riforma sanitaria e l'aumento di truppe in Afghanistan. Lui, agli occhi degli americani, oggi doveva dimostrare di essere un presidente vero, e non solo un simbolo perfetto. Quello già lo è stato. Era quasi un anno fa a Chicago. Anche noi con il resto del mondo ci siamo commossi a vederlo salire su quel palco nella notte con Michelle e le bambine. Ci siamo detti che il mondo forse era migliore e abbiamo ascoltato la parola possente di quel ragazzo arrivato da lontano. Ma adesso non si può continuare a cavalcare la simbologia del nuovo presidente. Bisogna lasciargli fare il presidente, guardare le sue azioni al di là delle parole e poi magari un giorno, quando i fatti lo diranno, celebrarlo come un vero costruttore di pace. Per oggi forse i saggi di Oslo si sarebbero potuti contentare di illuminare con la forza del Nobel qualche pezzetto di quel mondo dei diritti negati che continuiamo bellamente a ignorare.Avrebbero potuto premiare qualcuno che in silenzio, in qualche angolo remoto del pianeta combatte una battaglia solitaria che il nobel avrebbe potuto cambiare per sempre. Certo i giornali del mondo ne avrebbero parlato assai meno, le tv lo stesso. Ma magari la vita di una manciata di persone sarebbe cambiata, quasi in silenzio, senza retorica.

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