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Gianfranco Fini è preoccupato: "Restiamo con i piedi per terra"

Il presidente della Camera Gianfranco Fini

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Fini preoccupato. «Manteniamo i piedi per terra», ha continuato a ripetere come un automa ai suoi. «Non facciamoci trascinare dalla situazione», ha continuato a dire come se volesse convincere anzitutto se stesso. Eppure il presidente della Camera aveva rimesso a posto la cornetta del telefono rasserenato dopo aver sentito, a metà pomeriggio, il presidente del Consiglio al telefono. Il co-fondatore aveva dato solo delle indicazioni. Aveva suggerito all'amico Silvio di andare avanti. Il suo era stato un invito alla moderazione. Un appello a mantenere la reazione di bocciatura del Lodo nel solco istituzionale. Fini aveva parlato come a un amico. Con Berlusconi c'era una sintonia ritrovata. Non è un mistero che nelle settimane scorse a Palazzo Grazioli c'era più di un sospetto sull'ex leader di An. Lo stesso premier era convinto che il presidente della Camera avesse in mente un disegno politico chiaro. Che era quello di logorarlo fino a farlo cadere. Per poi assumere la guida di un fantomatico governo del presidente, una roba inciucista che doveva vedere tutti assieme appassionatamente Fini e Casini, Montezemolo e Rutelli. Non si è ben capito chi abbia fatto frullare nella testa di Berlusconi una simile idea. Dalle parti di Fini si pensa agli ex di An oggi berluscones convinti. Fatto sta che le indiscrezioni sono finite sui giornali e lo stesso presidente della Camera s'è fatto qualche risatina nel leggerle, visto che un simile progetto, qualora andasse in porto, significherebbe anche la sua fine politica. Sospetti, veleni. Tutto s'è diradato nel famoso pranzo a casa Letta il 21 settembre scorso. Da quel momento Berlusconi s'è convinto dell'irrealtà di simili ipotesi e si è sentito più tranquillo di aver ritrovato un amico. Un amico che gli è sempre stato al fianco nel momenti più duri. E Fini non ha avuto problemi anche a venire allo scoperto. Lunedì, parlando a Napoli, ha spiegato chiaramente che esiste una sola maggioranza, che è quella uscita dalle urne. Implicitamente ammettendo che caduto Berlusconi si andrebbe alle urne, non ci sarebbe spazio per governi, governicchi, inciuci e pastrocchi. E ieri mattina Fini, intervenendo al convegno organizzato da Montezemolo, era stato ancora più sprezzante su ipotesi retrosceniste e manovre di palazzo. Incontrando a pranzo il leader della Lega, Umberto Bossi, era stato ancora più esplicito. E lo stesso Senatùr s'era convinto della autenticità della posizione finiana. Così, quando il principale inquilino di Montecitorio ha alzato la cornetta del telefono per parlare con il premier (entrambi già sapevano della bocciatura del Lodo) ha potuto parlare come a un amico vero, sincero e senza che lungo i fili corressero altri sospetti. E quando i due si sono salutati Fini s'è rincuorato poco dopo a leggere la dichiarazione del portavoce del premier Paolo Bonaiuti rassicuranti e istituzionalmente nei binari sperati. In serata ha poi incontrato Abu Mazen e ha staccato per un'oretta. Quando si è rimmerso nella politica nazionale ha trovato il diluvio di dichiarazioni berlusconiane contro tutto e contro tutti. Una in particolare l'ha dispiaciuto, ed è quella contro il presidente della Repubblica. Fini tutto poteva sperare tranne che si aprisse un conflitto con il Quirinale che proprio nei giorni scorsi ha difeso apertamente dagli attacchi insulsi da parte dell'Italia dei Valori. Ora si apre un altro fronte. Non da poco. Anche perché Fini sa molto bene che se c'è una cosa che manda su tutte le furie Napolitano è l'attacco non politico ma personale. E infatti Berlusconi ha punzecchiato proprio su quel fianco. Tutto ciò però significa che c'è lavoro da svolgere. Da stamattina dovrà rimettersi i panni del mediatore e provare a ricucire. Non sarà facile. Non sarà impossibile.

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