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I quindici minuti di Ghedini

Niccolò Ghedini

Pace, l'uomo del Mundialito

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«Parlerò quindici minuti». E al quindicesimo preciso, puntuale come il Rolex Submarine che porta al polso destro, Ghedini disse: «Ho finito». L'avvocato Niccolò è così. Freddo, schematico. A tratti sembra una macchinetta. Parla senza inflessioni. Mano sinistra dietro la schiena, gesticola appena. Non ride e non scherza. Anzi, si innervosisce pure se qualcuno prova a distorglielo. Il legale del premier arriva ovviamente in perfetto orario nella sala delle udienze della Corte Costituzionale. Arriva naturalmente da primo, siede al suo posto. Ai giornalisti ripete sempre le stesse frasi: «Parleremo poco perché abbiamo scritto tanto». Gli chiedono che previsioni fa e lui si gira, guarda alle spalle e risponde secco: «A leggere i giornali non si dovrebbe decidere subito». Poi si risiede, guarda avanti, osserva le carte. Apre il suo portafascicoli e tira fuori due cartelline rosse e una blu. Ma si preoccupa solo della prima sulla quale con pennarello nero è scritto: «S.B.-Mills», «S.B.-Roma». Apre un codice di procedura penale a un punto prestabilito, ci sono tre post-it che segnano le pagine. Plasticamente è il dominus. Alla sua sinistra siede Piero Longo, suo socio di studio e nello stesso collegio difensivo. Più in là prende posto anche Gaetano Pecorella, l'unico che gli tiene in parte testa. Alla sua destra arriva più tardi Glauco Nori. Si sta per cominciare, Ghedini non sorride più. Neanche un leggero movimento delle labbra per cortesia come fino a qualche momento prima. Anzi, una cronista gli si avvicina per porre una domanda e lui ancora più freddo risponde che non accetta domade. Allora, un quesito, una curiosità e l'avvocato Niccolò si spazientisce: «Ma non lo vede che cosa sto facendo ora?». Punto, questo è il massimo dell'inalberamento. Un leggero irrigidimento della voce. Si rimette con gli occhi fissi in avanti, la Corte che a sua volta lo guarda come un plotone d'esecuzione. Scuote un pochino la testa in segno di disapprovazione. È l'ultimo segno di emozione. Per un'ora e mezza Ghedini resta immobile, rilegge le carte, si studia la memoria difensiva come se già non la conoscesse a memoria. Longo gli fa notare una lieve imprecisione. All'interruzione per la breve camera di consiglio Pecorella e Longo scherzano sulla facciola, il bavaglio he va indossato sul petto e sotto la toga. Spiegano ai cronisti che si può chiamare anche «pazienza»: «E quanta ce ne vuole qui», scherza Pecorella. Lui no, resta al suo posto. Non si alza. Al massimo parla con il cancelliere che prova a sdrammatizzare, tenta di fargli spiaccicare qualche parola che vada oltre i soliti monosillabi. L'avvocato del premier resta fermo, appena qualche vocale in più e basta. La seduta riprende, si toglie l'orologio e se lo piazza davanti come se fosse diventato un aggeggio da tavolo. Poco dopo le undici la sua arringa. Schematica, senza artifici retorici, oratoria fredda e piatta, secca, tecnica. I giudici lo ascoltano, qualcuno sonnecchia, lui tira dritto. Il presidente Amirante è impassibile, volto imperscrutabile. Il punto chiave resta quello nel quale il legale-deputato avverte: «La legge è uguale per tutti ma non sempre lo è la sua applicazione». La sua è l'arriga più generale, mentre agli altri saranno affidati i vari aspetti della difesa. Ghedini spiega per esempio che «il legislatore, anche se mai abbastanza in verità, è spesso intervenuto a modificare la legge su sollecitazione di questa stessa Corte».   E che dunque non si tratta di una vera e propria legge ex novo, bensì dell'adempimento delle precedenti indicazioni della Consulta che aveva bocciato in parte il lodo Schifani varato cinque anni fa. L'avvocato ricorda anche che esistono norme particolari, riservate ad esempio, a chi ha commesso reati rivestendo incarichi nella pubblica amministrazione o nelle Forze armate. E dice espressamente di no all'ipotesi di concedere il «lodo» solo per determinati reati. «Qualsiasi differenziazione - sono le sue parole -, per quanto riguarda la concessione o meno del legittimo impedimento a comparire, sarebbe, questa sì, incostituzionale, se prevista in base a tipologie di reato». Per Ghedini con il «lodo» «è stata realizzata la condivisibile finalità di questa legge».  

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